Al suono della risacca
La visita alla biblioteca non si prolungò per molto, appena fuori, nella soddisfazione generale, le insegnanti prima di riprendere il viaggio, concessero il permesso di un breve intervallo. I gruppi piccoli e non, le semplici coppie, aggregandosi nella spontaneità della giovinezza, sciamarono lungo il viale tra le bancarelle del piccolo mercato stanziale all’ombra della fila dei nodosi ficus e per le vie che dalla piazza si diramavano verso la zona del centro, in cerca delle vetrine dei grandi negozi e dei caffè.
Gina e Giulio, tra i risolini allusivi, vincendo l’imbarazzo, con la scusa di prendere un gelato si separarono subito dagli altri, e poco dopo, seduti in uno degli angoli più nascosti del Bar Centrale, nelle immediate vicinanze del Liceo, ebbero la possibilità di appartarsi e rimanere un po’ da soli, ma non ebbero neanche il tempo delle solite frasi di un pur accenno di corte esplicita, tra un cucchiaino e l’altro della granita alla fragola ché il prolungato suono del clacson del pullman li chiamò al ritorno.
Ricompostasi per intero, la comitiva ripartì. Il sito archeologico dell’importante insediamento della Magna Grecia, con annesso museo dei reperti del luogo, era situato in una collina proprio di fronte il mare, alle cui limitrofe sabbiose pendici, attorno all’antico porticciolo, si era sviluppato un piccolo villaggio di pescatori, ormai votato al turismo, con il conseguente prosperare di numerose bancarelle sul breve lungomare e piccoli negozi di indumenti, souvenir, finti reperti e vasellame vario.
Sullo spiazzo antistante all’ingresso, le scolaresche in attesa di entrare, all’ombra delle poche e sparute pensiline, s’intrecciavano in un indistinto insieme. La terza A e la terza B giunsero in leggero ritardo rispetto al programma; i ragazzi accaldati e sudaticci in cerca di un po’ d’aria fresca, si affrettarono a scendere, e come liberati, in parecchi si diressero verso la ringhiera in assi di legno grezzo posta a delimitare un belvedere sul mare ancora provvisorio e improvvisato, ma dietro le insistenti e ferme indicazioni delle insegnanti, pochi alla volta, di cattiva voglia e senza entusiasmo, iniziarono a sistemarsi in coda alla fila.
Abbagliati dallo splendore della vista, che si perdeva fin sull’arco d’orizzonte, dove il blu intenso di un mare quasi immobile sembrava riversarsi sull’azzurro infinito di un cielo chiaro e sereno, rinfrescati dal soffio leggero di una timida brezza, trafilata a stento tra le macchie rigogliose e fitte dei cisti e delle ginestre ancora in fiore, dei rosseggianti ginepri, dei sempreverdi mirti, dei rovi aggrovigliati e invasivi sui cespugli spontanei di mentastro e di rosmarino, Gina e Giulio si attardarono un po’ più degli altri.
Incuranti dei richiami dei compagni, rimasti, per qualche minuto, completamente soli, i loro sguardi s’incrociarono, indugiando più intensamente, e come attratti da un magnetismo ignoto ma assecondato, si ritrovarono più vicini fino a sfiorarsi, mentre la mano di lui cercava quella di lei che si fece trovare.
Assieme all’ancor piacevole calore del sole di maggio, Gina si sentì avvampare da quell’altro che veniva da dentro, che le imperlò il viso, già roseo, di sconosciuta e mai provata sensazione di piacere. Giulio avvertì le vibrazioni di lei fondersi alle sue in un’unica sensazione di intenso desiderio di baciarla, di toccarla, di sentirsela addosso, di stringerla.
Cercando il suo sguardo:
“Che ne dici se ce ne andiamo per i fatti nostri?”
A quello che era più un desiderio espresso che una richiesta, Gina non ebbe bisogno di riflettere e rispose con un sorriso di assenso.
Nel frattempo la fila si era allungata e quasi tutti i loro compagni avevano superato i tornelli d’ingresso, e appena anche l’ultimo l’ebbe superato e scomparve alla loro vista, dopo un’occhiata d’intesa si girarono e senza esitazione, quasi scappando, presero la direzione dell’antico borgo, preferendo il vecchio sentiero che dallo spiazzo scendeva verso il porticciolo.
I corti tornanti dell’ex mulattiera che s’inerpicava quasi a strapiombo, malgrado fossero stati interamente acciottolati, con intervalli di piccoli tratti a gradoni di nuda pietra arenaria, in discesa, con quella pendenza, risultavano sempre un po’ scivolosi; Giulio e Gina si presero per mano, e aiutandosi l’un l’altra, non disdegnando qualche rapida sbirciata all’incantevole paesaggio che si estendeva proprio sotto di loro, la ridiscesero di fretta.
Il sentiero finiva proprio a ridosso del piccolo molo affollato di vecchie barche, dalle prue beccheggianti al ritmo della risacca, perlopiù in legno, dai colori sgargianti, con scritte stilizzate di nomi di donne sulle chiglie sgretolate, consunte dall’uso e dal tempo, appartenenti di certo ai tanti pescatori del luogo.
Su una di queste, un uomo solo, curvo su un cumulo di reti, intento a ripulirle, non si accorse di nulla; indecisi, si guardarono attorno: da un lato, fino a lambire il mare, proprio sulla battigia, le prime case del borgo che in un intersecarsi di vicoli e viuzze si estendeva per un breve tratto di costa, dall’altro l’inizio di un’ampia spiaggia di ciottoli e ghiaia, che declinando verso il bagnasciuga si riducevano sempre più fino a diventare sabbia, costeggiata da una rigogliosa macchia mediterranea che si perdeva a vista d’occhio.
Il suono seducente della risacca scelse per loro, e di colpo si ritrovarono a camminare sulla striscia sabbiosa del lungomare. Saltellando per non farsi raggiungere dall’andirivieni dell’acqua, Gina felice, sembrava giocare con le onde; Giulio imitandone i saltelli cercava di seguirla. Ne bastò uno fuori tempo e le scarpe finirono col bagnarsi, e come sempre accade, poco dopo, entrambi si ritrovarono con le scarpe in mano e a piedi nudi nell’acqua fino alle caviglie.
Sebbene la brezza avesse iniziato a soffiare con più lena, ben presto il caldo di maggio si fece sentire sui due giovani corpi, e le gocce di sudore miste alla salsedine e agli odori del mare finirono col combinarsi in una chimica che li avrebbe portati ad un approdo impensato.
Quasi scomparendo alla vista, confusi tra gli sparuti gruppi di barche tirate in secca e tra i bassi cespugli delle dune più prossime alla riva, ormai dal borgo s’intravedevano, a tratti, soltanto due piccole sagome che come in una danza datata si avvicinavano e si allontanavano quasi respingendosi.
Rapidi e ripetuti movimenti di un gioco nell’acqua e con l’acqua che senza volerlo passo dopo passo divenne naturale e spontaneo corteggiamento. Asserviti e soggiogati dall’istinto seduttivo delle loro diverse nature, in uno scambio continuo tra preda e predatore, il desiderio e la voglia alla fine avrebbero preso il posto dell’allegria.
E il dopo avvenne come sempre con la semplicità e la complicità del caso e dell’imprevisto. Gina in una delle tante serpentine per evitare le finte manciate d’acqua lanciate da Giulio, inciampò in uno dei sassi sporgenti dalla sabbia. Nell’euforia della latente eccitazione, non provò neanche di non perdere l’equilibrio e in maniera spontaneamente scomposta si lasciò cadere sulla sabbia.
Poggiata su un gomito, quasi sdraiata, incurante delle piccole escoriazioni sulle gambe imbrattate a chiazze di sabbia bagnata e con la gonnella plissé a fiori, sollevata fin quasi all’attaccatura delle cosce, sorridente, restò ferma, come in attesa. Giulio d’istinto aveva cercato di afferrarla, e non riuscendoci, mentre si chinava tendendole la mano per aiutarla, non poté sottrarsi con malcelato stupore dall’ammirarla in tutto il suo giovane selvaggio splendore.
Due occhi disinibiti ma gentili, contornati dal sorriso su un viso dalle guance leggermente arrossate, madido di finissime goccioline di brillante sudore, rigato da sottili virgole di appiccicaticci riccioli, contornato da una selva di capelli un po’ arruffati sparsi sul collo e sulla spalla, lasciata in parte scoperta da una camicetta di cotone ormai troppo stretta, che a stento riusciva a contenere due seni dritti e prosperosi, e che fuoriuscita parzialmente dalla gonna lasciava intravedere un piccolo scorcio delle sottili pieghe della pelle in prossimità dell’ombelico, in un bacino chiaro e piatto, dalle cui anche, ben fatte e sporgenti, si staccavano due gambe affusolate, sode e ben tornite.
Davanti a tanta meraviglia, anche la luce del sole non volle far mancare il suo complice contributo, e approfittando di una nuvola di passaggio, arrivata lì forse per caso, attenuò il suo chiarore coprendola con un sottile velo di più intensa crepuscolare sensualità.
Il giovane cuore accelerò i battiti e Giulio ebbe un attimo di esitazione, ma gli bastò incrociare lo sguardo di Gina, che gli aveva già afferrato la mano, per capire che non voleva essere aiutata. Solo il gesto di tirarla, e se la ritrovò addosso, avvinghiata, con le braccia al collo.
Vincenzo Muscarella