Il Don Chisciotte di Beppe Dati e Francesco Guccini
Attraverso le pagine di questo Magazine culturale mi sono prefissa di portarvi a conoscenza di piccole e grandi espressioni di genio. Oggi voglio parlarvi della grande letteratura finita dentro le canzoni.
Claudio Baglioni, nel 1974, ha inciso Ninna nanna della guerra riportando fedelmente il testo che il poeta romano Trilussa scrisse nell’ottobre del 1914. Fiorello nel 1993 ha portato a Sanremo il testo della poesia San Martino di Giosuè Carducci, ma ciò che ha fatto Beppe Dati scrivendo la canzone Don Chisciotte (musica di Goffredo Orlandi e Beppe Dati), destinata a Francesco Guccini, ha certamente del geniale.
Giusto precisare che dalla versione originale, pubblicata con il titolo Don Chisciotte e Sancho Panza, incisa da Guccini sull’album D’amore di morte e altre sciocchezze nel 1996, la canzone venne ripubblicata nel 2000 sull’album Stagioni con il titolo ridotto Don Chisciotte e l’aggiunta della firma dello stesso Guccini per le modifiche apportate al testo.
Cosa c’è di Geniale? Be’, chi conosce l’opera del Cervantes sa che parla dell’inutilità degli ideali in una società che non riconosce il valore della virtù (in quel caso: cavalleresca), e la possibilità di perdersi tra realtà e fantasia. Mette a confronto lo spirito idealista del nobile Don Chisciotte affiancandolo all’ignoranza materialistica del rozzo Sancho Panza. Come ogni opera letteraria, degna di questo nome, essa incarna tutti i tempi anche i più contemporanei.
L’opera del Cervantes è monumentale, supera abbondantemente le mille e duecento pagine, quindi condensarne il concetto così come hanno fatto Beppe Dati e Francesco Guccini senza snaturare l’opera e il suo contenuto lascia il lettore (se legge i versi) o l’ascoltatore (se ascolta la canzone) una sensazione di vero stupore.
Nelle strofe si avvicendano le voci di Don Chisciotte e Sancho Panza.
Non riporto tutto il testo che potrete facilmente rintracciare su Google, e vi aiuto nella lettura dicendovi che i primi due versi, riportati sotto, fanno parte della strofa in cui a parlare è Don Chisciotte, segue quindi la strofa in cui si esprime Sancho Panza, e così via via in costante alternanza.
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Colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte,
Com’è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte…
Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
Contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore…
E’ la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
Cavalier senza paura di una solitaria guerra
Cominciata per amore di una donna conosciuta
Dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
Ma credendo di aver visto una vera principessa,
Lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
Non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
E questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
Proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini…
È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
Io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
Quant’è vero che anch’io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza…
Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
Solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora:
Per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
E per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri.
L’ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
Anche l’anima dell’uomo ha toccato spesso il fondo,
Ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
Il nemico si fa d’ombra e s’ingarbuglia la matassa…
A proposito di questo farsi d’ombra delle cose,
L’altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
Le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
Ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori!
Era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
Credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
Il solo metro che possiedo, com’è vero… che ora ho fame!
Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch’io un realista,
Ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
L’apparenza delle cose come vedi non m’inganna,
Preferisco le sorprese di quest’anima tiranna
Che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
Ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d’oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
Ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire…
Mio Signore, io purtroppo sono un povero ignorante
E del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
Ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
Riusciremo noi da soli a riportare la giustizia?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
Dove regna il capitale, oggi più spietatamente,
Riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
Al Potere dare scacco e salvare il mondo intero?
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
Perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,
Farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Il Potere è l’immondizia della storia degli umani
E anche se siamo soltanto due romantici rottami,
Sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
Siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte!
La canzone che ha magistralmente rielaborato il Don Chisciotte del Cervantes punta tutto sul valore dei sognatori, perché solo chi non si lascia ingannare dalla rigida realtà ha la capacità di immaginare un mondo nuovo e lottare per esso, anche a rischio di perdere.
Questo concetto, a mio vedere, è espresso in modo illuminate nella strofa che abbiamo evidenziato in grassetto.
Godetevi parola per parola la magia di questi versi e auguratevi che l’intelligenza artificiale non ci rubi mai l’estasi dell’invenzione.
Adelaide J. Pellitteri