C’è bisogno di tanta pietà
Così forse ha voluto congedarsi dall’indimenticabile poeta, straniero e di casa tra i gatti randagi di tutto il mondo, non solo quelli del quartiere della Foce di Genova, lì dove sorse la singolare istituzione, di cui Fabrizio era a capo. Così, non volendoci mai vendere certezze “impacchettate”, ha preferito andarsene in punta di piedi, lasciandoci il cuore pieno di emozioni. Al suo funerale, non ci sono stati solo i suoi cari e gli amici, ma si è allineato, pur non visibilmente, tutto il triste campionario dell’umanità, a cui così teneramente si era rivolto. Erano tutti lì ad applaudirlo per l’ultima volta: era il girotondo dei dimenticati, dei tossicomani, degli impiccati, delle adolescenti traviate, dei falsi Babbi Natale e di tutti i diseredati della terra. È riuscito a restituirlo alla loro dignitosa condizione umana e talvolta ha tentato di addolcire la loro morte, mosso da sincera compassione.
È la mancanza di pietà – infatti – per Fabrizio a trasformare la nostra vita in un lungo cammino di morte. Cantastorie e profeta, ha voluto raccontarsi in musica ma anche in versi.
La sua calda voce ci ha donato confessioni intime e sofferte, talvolta sussurrate. Le sue parole sono soffici ed il respiro ritmico è sempre ben tenuto. Lo ricordiamo tutti come un artista completo, un anarchico inguaribilmente idealista e dissacrante. Nella sua denuncia, elegante e fortemente celebrativa, si annida la sua timida commozione e la sua infinita indulgenza. Inquieta e solitaria rimane la tormentata personalità e mai presuntuosa la capacità di poetare, rigorosamente scandita da un dubbioso credo filosofico. Si ricordi ancora la sua libertà di far nascere “fiori” dal “letame”, così come suggerisce una delle sue più note canzoni e di farlo senza imprigionare i pensieri in dogmi. Custodiamo le sue ceneri nei nostri cuori, come petali di rosa mai appassiti , con la stessa pietà con cui ha voluto amare e con la stessa tenerezza con cui si accarezza “un fatto randagio”.
In memoria di F. De Andrè
Cantastorie solitario“Addio poeta triste
cantore d’un Occidente stanco
e al suo tramonto.
Romantico illuminato,
Robinson Crusoe
di isole incantate
di magici voli d’uccelli
di ninfe soavi
coperte di veli
su ruscelli di luna…
Addio chansonnier
funambolo e sognatore
felino ascoltatore
profeta dell’amore perduto
dell’ideale mai infranto
dell’ultimo canto della morte.
Addio arguto cantautore
di messaggi resi apocrifi
di quartieri malfamati…
A te
caldo intellettuale
e sommo poeta
questo paese s’inchina
e cosparge la Tua sepoltura
di mille papaveri rossi”
Un timido omaggio al ricordo di colui che “senza pretese, portò l’amore nel paese…”
Maria Angela Eugenia Storti
La poesia è meravigliosa, la commemorazione piena di pathos. Il linguaggio essenziale e ben strutturato rende a me, lettore, un immagine precisa del poeta-cantore a dimostrazione della profonda ammirazione e conoscenza di F. De Andre’ da parte della scrittrice.