Ho sciolto al vento i miei capelli di Sandra Vita Guddo
La silloge Ho sciolto al vento i miei capelli è nella parte iniziale un’eco di voci di donne perché l’io lirico dà voce a tutte quelle donne che non ce l’hanno e che non hanno avuto la possibilità di manifestare il loro dolore per la libertà repressa, per la morte di un figlio, per la loro invisibilità, per non aver potuto affermare la loro identità.
Sciogliere i capelli è un gesto femminile seducente che connota la bellezza muliebre, ma sciogliere al vento i capelli è un gesto simbolico di donna, un grido metaforico, un gesto tangibile in cui il vento equivale a liberazione da vincoli, a una conquistata libertà e afferma, riscattandola da sacrifici, dolori, delusioni, con forza la presenza della donna nel tempo e nello spazio. Il vento, dunque, diventa simbolo della voce interiore, di guida che porta con sé risposte inattese.
Già nella prima lirica che dà il titolo a tutta la silloge l’io lirico si rivolge ad una fanciulla persiana che affronta, come tante altre sue sorelle oggi, significative restrizioni socio-politiche (come il divieto di cantare in pubblico, viaggiare da sole, ballare per strada) e immagina che abbia fatto un gesto rivoluzionario come quello di sciogliere i capelli al vento e di gettare il suo velo, che subisce forzatamente, riaffermando la sua identità, la sua libertà e il suo diritto calpestato di essere donna. Il concetto viene ulteriormente sottolineato nella lirica Invisibile, dove una donna chiede al suo giovane amante il motivo per cui debba esser resa invisibile sotto il velo che porta e che la esclude da una vita realmente vissuta e che lei sente come la sua ‘bara’. E ancora una donna è la protagonista della terza lirica che, per smorzare il suo dolore per un figlio caduto in guerra, fa rivivere il suo elmo trasformandolo in un vaso per un geranio rosso magenta, simbolo di amore e di rinascita. Le parole erompono nella struttura della lirica accurate nella scelta lessicale, il ritmo si verticalizza e sembra riprodurre nei suoni, il dolore lacerante della madre per la perdita del figlio che diventa più sfumato nella seconda parte della lirica con l’impiego di sillabe e vocali aperte per sottolineare nell’impiego cromatico delle parole, il senso di un dolore che sa di redenzione. L’eco delle voci di queste donne arriva ai lettori come una melodia suadente, delicata, impetuosa, dolorosa, lontana, vicina. I versi assumono un tono civile e di resistenza come si enuclea anche dalla lirica Coltiva un fiore che è un appello contro la violenza sulle donne che non bisogna colpire: «nemmeno con una rosa».
Ma con la voce delle donne a cui l’autrice dà voce corre parallela e s’intreccia la sua voce che, nel silenzio della creazione poetica si pone interrogativi esistenziali, tra dubbi ed incertezze, tra ostacoli che la vita pone e allora dai versi sembra di cogliere il suo respiro, il suo desiderio di libertà riposto in quel gesto simbolico di sciogliere anche lei i suoi capelli al vento.
L’autrice sa però, che a soccorrerla dagli ‘inciampi della vita’, c’è la parola poetica che, come uno sciame luminoso, irrorerà il suo cammino consentendole di rialzarsi ed avere speranza nel futuro. Quella poesia che invoca quasi antropomorfizzandola, chiedendole di ispirarla ancora, come nella lirica La tua parola non è mai stanca, che, con la musica del verso placa l’ansia e il dolore del mondo e che accenderà di colore la sua vita. Ed è nel ricordo che la poesia si dispiega in tuttala sua luce («un raggio di luce»). Nello spazio dei versi l’autrice ritaglia spazi dell’anima che si rifrangono in ricordi tristi o gioiosi come davanti a una tazza di tè o una cena tra amici oppure in gesti e consuetudini quotidiane come quella di impegnarsi in ricette della nouvelle cuisine. Le liriche non sono solo uno scandaglio del proprio animo ma affrontano una pluralità di tematiche del nostro tempo come la tematica ecologica, di un mondo dilaniato dalle guerre, dei diritti negati, della giustizia, degli affetti familiari. Tutte le liriche sono imbastite su dei lessemi ricorrenti che attraversano i versi, il vento, il silenzio, il tempo, il sogno.
Il lessema ‘vento’ viene declinato in tutte le sue connotazioni. I significanti si dilatano assumendo significati molteplici e il vento diventa vento dei diritti conquistati, vento dell’amore, della concordia, del dolore, della fraternità, della consapevolezza.
Altro lessema ricorrente è ‘il silenzio’ che non è solo un momento di ascolto del proprio io ma di ascolto del mondo che la circonda. Di silenzio, con un continuo andirivieni tra passato e presente, è permeata la sua vita come nella lirica L’energia del silenzio in cui l’io lirico si ripiega su sé stesso scandagliando il proprio animo per placare il tormento che l’attanaglia per qualcuno «scomparso nella bruma dell’aurora», e nella lirica facente parte della sezione Affetti intitolata A mio padre rievoca la casa paterna, un tempo nido di sogni e parole e canti ed ora avvolta da un silenzio assordante. L’autrice nel silenzio della creazione poetica intesse versi e ascolta le voci di quanti sono stati vittime di mafia. Ed ecco Padre Puglisi in dialogo con i propri assassini o Cosimo Cristina, il primo giornalista: «ucciso in una galleria oscura dal potere mafioso». Oppure i versi si dispiegano ricordando nella lirica Come marmo i bambini vittime della Shoah.
E su tutto, persone cose e atmosfere aleggia la consapevolezza del trascorrere del tempo, quel tempus rapax senecano che muta persone e cose e rende l’uomo, nel suo cammino esistenziale sempre più solo.
Tutte le tematiche, affrontate con grande vibrazione narrativa, hanno come obiettivo la realizzazione di un sogno, un mondo in cui tacciano droni e cannoni e in cui trionfi la pace, la concordia, in cui non ci siano diritti negati. Molte liriche ruotano intorno al lessema ricorrente del sogno, la cui trattazione piuttosto che a Calderon de la Barca de La vida es sueno si avvicina al Quasimodo della raccolta La vita non è sogno nella convinzione che la vita è impegno sociale e lotta e va vissuta responsabilmente da tutti. Il poeta in una società siffatta, adombrata dalle guerre, dal disastro ecologico, dai naufragi degli immigrati in mare, non può che avere un ruolo sociale e civile, quello di cantare, la pace, la speranza, l’amore, la giustizia, i diritti umani, la bellezza ed è quello che ha fatto l’autrice che, nella pagina iniziale, dedica la silloge ai suoi lettori cultori della bellezza. E di bellezza è straripante la silloge, per bellezza dei contenuti e bellezza della parola poetica che si fa arte.
Tutte le tematiche sono affrontate con grazia e concorrono a creare atmosfere sospese e ricche di suggestioni con un linguaggio fortemente evocativo che esprime efficacemente il tema dell’esistenza come ricerca di senso, anche all’interno della quotidianità. Le poesie della silloge raffinate ed essenziali sono frutto di una sensibilità non comune e di una storia di passioni multiple, per la vita, per la famiglia, per la giustizia, per la bellezza. Tutte le liriche hanno la parvenza di un cantopolifonico dall’icastica architettura emotiva, e il ricorso alla figura retorica dell’anafora, dell’enjambement, del climax ascendente, dell’analogia, della metafora conferiscono ritmo e musicalità ai versi con scelte lessicali adeguate. La lettura di queste liriche tout court, per il messaggio introspettivo, sociologico, antropologico che contengono, è un’esperienza di grande spessore umano e culturale tramite la parola poetica che penetra nell’animo inducendo il lettore a considerazioni profonde sul significato dell’esistenza. Il messaggio dominante che pervade la silloge è la speranza di un mondo migliore in cui non ci sia né spargimento di sangue né morte ma dove trionfi la pace, la giustizia, i diritti umani, la famiglia. Quest’ultima viene analizzata nella sezione Affetti come luogo di amore, di rispetto, di preparazione alla vita ed ecco affiorare i versi toccanti dedicati alla sorella e ai nipoti Maia, Isabella, Andrea, Manfredi, Giorgio, Riccardo, di ognuno dei quali, con grande abilità, l’autrice tratteggia le caratteristiche psico–fisiche e il legame profondo che intercorre tra loro. Nella silloge, a ben guardare, attraverso il potere sciamanico della poesia Sandra Vita Guddo ha dato voce ai suoi dubbi, agli affetti, alle amicizie che hanno attraversato la sua vita, ma ha anche esorcizzato il dolore, la malinconia, l’assenza e affrontato scottanti tematiche attuali facendo assumere alla poesia un preciso valore civile, sociale, etico e regalandoci un’opera, per dirla con Pessoa, pregnante di una ‘poetica di sensazioni’.
Mariza Rusignuolo