LA POETICA DELLA TRASPARENZA NELLA PITTURA DI TOPAZIA ALLIATA
“Era una pittrice lieve e sapiente, e i suoi quadri dal tratto amaro e ingenuo conservano tuttora una freschezza ammirevole” così descrive la madre Topazia Alliata, Dacia Maraini nel suo romanzo “La nave per kobe”. Il nome Topazia, raro in Sicilia ma diffuso nel Sud America, le fu dato certamente dalla madre, la duchessa di Salaparuta, Sonia Ortuzar Ovalle de Olivares, una cilena di sangue indio, nata e cresciuta a Parigi, allieva di Enrico Caruso e giovane promessa della lirica “passionale e teatrale”.Figlia primogenita di Enrico Alliata, duca di Salaparuta (1879- 1946) discendente dal nobile casato siciliano dei principi di Villafranca, Topazia, fin dall’infanzia, che trascorse tra la residenza palermitana dei Villafranca (Piazza Bologni) e la Villa Valguarnera di Bagheria, fu affidata alle cure di una tata anglosassone e di precettori stranieri. Presenze fondamentali per la sua formazione culturale ed artistica furono le zie paterne Amalia e Felicita Alliata e il pittore Pippo Rizzo ( Corleone 1897- Palermo 1964). A Palermo sostenne gli esami presso il Liceo Artistico e, successivamente fu tra le prime donne a seguire la scuola di nudo presso l’Accademia di Belle Arti. Giovanissima artista intrattiene rapporti di amicizia con artisti coetanei quali Renato Guttuso, Nino Franchina, Michele Dixit domino, con alcuni dei quali svolgerà poi esperienze in campo artistico. Con Guttuso, in particolare, che la ritrasse in ben due quadri e per il quale Topazia nutrì un amore giovanile, lavoravano insieme presso la Villa Valguarnera di Bagheria e Guttuso a proposito della sua arte espresse un giudizio lusinghiero in un articolo in cui sottolineò l’abilità della giovane pittrice “nella rappresentazione astratta di emozioni, sentimenti, stati d’animo”. Guttuso, però, non fu il solo ad essere attratto artisticamente dalle fattezze fisiche di Topazia, anche Michele Dixit, infatti, la ritrae bionda, diafana, dagli occhi azzurri trasparenti e luminosi. Pur nell’ apparente fragilità dei tratti, tuttavia, Topazia si rivela nelle pagine di Dacia Maraini, una donna forte, capace di sacrifici e coraggiosa a tal punto da abbandonare una famiglia rispettabile e aristocratica come quella degli Alliata e il proprio lavoro artistico per amore di un uomo incontrato a Firenze nel 1933, Fosco Maraini (Firenze 1912- Roma 1987), che diventerà uno dei più grandi antropologi del Novecento e che sposerà nel 1935. La passione creativa di Topazia si manifesta ardentemente nella prima metà degli anni trenta quando parteciperà a numerose mostre palermitane di elevata importanza, divenendone in alcune circostanze, anche la protagonista. E’ presente, anche se in modo meno frequente, in qualche esposizione nazionale. E’ proprio negli anni trenta che il pubblico femminile è fortemente stimolato ad emergere in campo artistico, spinto soprattutto dagli eventi espositivi del sindacato fascista Belle Arti, e le mostre sindacali divengono un trampolino di lancio per tante artiste. La prima mostra femminile di Belle Arti, che offre alle donne un’importante opportunità di mostrarsi, venne realizzata il cinque marzo del 1934. Se nelle prime mostre sindacali regionali siciliane del 1928 si registra una scarsa presenza femminile testimoniata da solo otto donne, nel 1935, superando ogni aspettativa, si registrano ben trenta presenze femminili, tra cui si colloca Topazia Alliata. L’autrice partecipa alle sindacali siciliane del 1932 con Ritratto di giovane e Arsura; nel 1933 con Ponti e Pannocchie. Partecipa ancora nel ‘34 con due paesaggi e sette disegni, nel 35 con tre paesaggi, un ritratto e due disegni, nel ’36 con Sicilia, Sicilia e Cariddi e un paesaggio .
Nel 1932 si riscontra la sua presenza a Messina nella prima esposizione Regionale femminile d’arte dell’ANDPA, con Ponti, Ragazza strana, Pannocchie, Ulivi, Arsura, Due barche, Case, Ritratto di giovane. Nel 1933 a Firenze espone alla prima mostra del Sindacato fascista un solo quadro forse ancora presente nel settembre del ’37 alla seconda mostra interprovinciale delle Arti di Napoli. La sua migliore partecipazione si registra però nel dicembre del ’33 alla mostra “Pitture e Sculture, venti artisti di Sicilia”, da lei organizzata insieme a numerosi altri giovani artisti. In quell’occasione espone Ritratto di alpinista, Ragazza siciliana, Ponti e Paesaggio. Il nome dell’Alliata compare, inoltre, nel catalogo della Biennale di Venezia del 1936 ma l’artista, in verità, non vi invia alcun quadro.Proprio in quell’anno, infatti, nasce a Fiesole, dove si erano trasferiti, la prima figlia di Topazia e Fosco Maraini, Dacia, oggi nota scrittrice. Da questo momento Topazia smette di dipingere rinunciando alla possibilità di diventare una grande artista e dedicandosi pienamente alla famiglia che presto si incrementa con la nascita di altre due figlie, Yuki e Tony nate a Sapporo, In Giappone, dove i coniugi Maraini si trasferiscono nel 1938 in segno di protesta nei confronti della politica del regime fascista. Allo scoppio della seconda guerra mondiale il soggiorno nipponico della lunga durata di otto anni si trasforma da esilio volontario in vero e proprio confino per non avere giurato fedeltà al governo nazifastista della Repubblica di Salò. La famiglia Maraini, pertanto, trascorre gli ultimi anni della permanenza in Giappone nel campo di concentramento di Nagoia ( 1943 – 1945 ); ha inizio così un periodo molto difficile tra fame, malattie, attesa, gelo e vessazioni, vissuto in un luogo ostile insieme ad altri prigionieri stranieri ed antifascisti. Di questa dolorosa esperienza ne parleranno in seguito le figlie Dacia e Toni, l’una nei romanzi “ La nave per Kobe” e “Vita mia”, l’altra ne “La lettera da Benares” e nei “Ricordi d’arte e di prigionia di Topazia Alliata”. In quest’ultimo romanzo, in particolare, Toni Maraini pone l’accento oltre che sui giorni dolorosi della prigionia della sua famiglia in Giappone, sul diario che la madre scrisse segretamente in quel periodo, riportando fedelmente le sue parole che ne scandagliano l’animo. Il testo è peraltro corredato, nella terza parte, da molte opere pittoriche di Topazia Alliata e di coloro che hanno fatto oggetto dei loro lavori pittorici e fotografici la madre.
Nel 1946, finita la guerra, Topazia torna in Italia con le figlie e il marito da cui poco dopo, in seguito a dissapori e incomprensioni, si separa e si stabilisce a Bagheria nella monumentale Villa Valguarnera. Alla morte del padre, il principe Enrico Alliata di Salaparuta, Topazia prende le redini dell’azienda vinicola della famiglia a Casteldaccia, la Vini Corvo di Salaparuta e anche nel settore vinicolo fa valere il suo estro creando il vino “Colomba platino”, un bianco ancor oggi prodotto col marchio “Corvo” ma, nonostante i suoi sforzi, non riesce a risollevare le sorti dell’azienda e a impedirne la vendita. Nel 1959, conclusa questa attività imprenditoriale si trasferisce a Roma dove, attiva e partecipe alla vita sociale e culturale, promuove varie iniziative tra cui si annovera l’inaugurazione della galleria di arte contemporanea “Trastevere di Topazia Alliata”, scoprendo ed incoraggiando artisti poco noti. La galleria diventa un punto di riferimento non solo per pittori e scultori ma per intellettuali vari di diverse nazionalità e venne definita “un crogiuolo febbrile di idee e di eventi”. Nel 1964 l’attività della galleria si esaurì ma Topazia continuò ad organizzare mostre ed eventi evidenziando uno spiccato interesse per il fermento che ruotava intorno all’arte contemporanea. Donna dallo spiccato spirito cosmopolita, fu amica di tanti letterati e artisti dell’epoca tra cui Carlo Levi, Pippo Rizzo, Lia Paqualino Noto. Si spense a Roma all’età di 102 anni il 23 novembre del 2015 ma il suo nome ha lasciato una traccia indelebile nella storia delle conquiste socio- culturali delle donne, in quanto antesignana di un comportamento moderno, libero e anticonformista. Dotata, come ebbe a dire Achille Bonito Oliva di “innata curiosità” si distinse per il suo eclettismo che si tradusse in amore per i viaggi, per la natura, per lo sport in quanto fu un’ardita arrampicatrice e sciatrice e, insieme a Fosco compì varie ascensioni sulle Dolomiti. Fu, inoltre, una delle prime donne a prendere la patente, a guidare l’automobile, ad indossare i pantaloni e la sua raffinata determinazione si riversò nella sua arte impregnata dei suoi poliedrici interessi culturali e di una delicata eleganza cromatica. Se Topazia avesse continuato a dipingere probabilmente per quel suo tocco “lieve e sapiente” sarebbe stata inserita nei circuiti dell’arte nazionale ma “probabilmente”, a detta di Dacia Maraini ,“non aveva fiducia nel suo lavoro e, come tante donne, portava in sé la memoria atavica della sfiducia istituzionale”. La sua pittura si connota per una vena delicata, “dal segno leggero, quasi surreale, tra Novecento, Realismo magico e valori plastici” come sottolinea la critica d’arte Anna Maria Ruta. L’artista si cimenta soprattutto nella rappresentazione di paesaggi dalla linea nervosa, in ritratti ed autoritratti di inconfondibile tocco personale per cui si può parlare di una vera e propria “poetica della trasparenza” con una certa tendenza alla sinuosità ed alla essenzialità del tratto, specie nei paesaggi montani e nelle strade segnate dal dinamismo, sotto l’influenza del futurismo conosciuto attraverso Guttuso e Pippo Rizzo. Nei suoi ritratti ed autoritratti si coglie, prorompente, quella “ evanescenza cromatica”, quella pennellata “vivace ma non smodata” di cui parla il critico Francesco Callari, un atteggiamento riflessivo ed introspettivo delineato con estremo nitore formale di eco classica. Un’arte che nasce, tout court, dalla sua raffinata sensibilità e aristocratica cultura e che è il prodotto di quella curiositas che riverbera nell’artista d’avanguardia che in lei vedeva Renato Guttuso.
Mariza Rusignuolo