La baronessa di Carini: una tragedia del passato che parla al presente

Probabilmente la maggior parte dei siciliani venne a conoscenza del dramma della baronessa di Carini
grazie allo sceneggiato RAI del 1975, con Ugo Pagliai, Adolfo Celi e Janet Agren, che riportò alla luce al
grande pubblico la tragica vicenda di Laura Lanza e del suo amante, “U beddu cavaleri” Ludovico
Vernagallo.
Una storia amara, che i cronisti dell’epoca preferirono tacere per timore delle potenti famiglie coinvolte.
Sopravvisse così solo nelle memorie popolari, tramandata di padre in figlio, e fu proprio questa tradizione
orale a impedire che il ricordo della sventurata baronessa svanisse nelle nebbie del tempo.
I principali documenti ufficiali di quel duplice omicidio sono due: l’atto di morte di Laura e Ludovico, e
la lettera-confessione con cui Don Cesare Lanza cercò di giustificarsi davanti a re Filippo II.
Ma chi era Laura Lanza, questa donna di trentaquattro anni che, dopo vent’anni accanto a un marito
assente e distante, tradì e venne uccisa dal padre?
Un osservatore distratto potrebbe pensare che quello di Laura fosse un amore adolescenziale, la ribellione
di una ragazzina cresciuta troppo in fretta. Ma le fonti raccontano altro: al momento dell’omicidio Laura
ha 34 anni, e la relazione con Ludovico è lunga, profonda, consolidata.
La sua storia riemerse nel 1870 grazie all’etnologo Salvatore Salomone Marino, che pubblicò il poema in
siciliano La baronessa di Carini, opera nata dalla tradizione orale e poi arricchita da ricerche e revisioni.
Negli anni, la tragedia affascinò intellettuali come Pasolini e Sciascia, che la affrontò nella raccolta La
corda pazza.
Laura nacque nel 1529, probabilmente nel castello di Trabia, figlia di Cesare Lanza — barone di Trabia e
conte di Mussomeli — e di Lucrezia Gaetani. Bellissima, trascorse la giovinezza a Palermo, dove secondo
alcune fonti conobbe un ragazzino poco più giovane di lei: Ludovico Vernagallo, figlio di Don Alvaro
Vernagallo e di Laura Garofalo. Tra i due, si dice, nacque un sentimento precoce.
Ma nel XVI secolo, tra le grandi casate, l’amore aveva ben poca voce. Così, il 21 dicembre 1543, appena
quattordicenne, Laura sposò Don Vincenzo II La Grua Talamanca. Il matrimonio, tra due delle famiglie
più potenti di Sicilia, fu certamente fastoso: la dote, imponente — 4400 onze, e gioielli, arredi e abiti —
suggerisce un’unione di enorme prestigio. Laura si trasferì allora nel castello di Carini, dove avrebbe
vissuto vent’anni prima del tragico epilogo.
Lontana dai fasti cittadini, la giovane baronessa dovette adattarsi a una vita solitaria, aggravata
dall’assenza del marito. Né i doveri coniugali né gli otto figli riuscirono a colmare quel vuoto crescente.
Finché ritrovò Ludovico, ormai divenuto uomo. La famiglia Vernagallo possedeva il feudo di Borgetto, e
il giovane frequentava spesso la casa del cugino Vincenzo La Grua.
Anche lui, sembra, intrappolato in un matrimonio combinato con Donna Eleonora Manriquez.
Fra Laura e Ludovico l’amore rifiorì, travolgente e destinato a durare fino alla morte.
Secondo tradizione, il 4 dicembre 1563, Don Cesare e il marito Vincenzo, avvisati dalla delazione di un
monaco, fanno irruzione nel castello. Ludovico viene ucciso sul posto da uno sgherro di Vincenzo. Laura
tenta la fuga; il padre la insegue. Lei, capendo di non avere scampo, apre una finestra e grida al popolo:
«Carinisi, accurriti: m’ammazza!». Ma nessuno può salvarla. Il padre la colpisce a morte e lei, negli ultimi
istanti, si appoggia al muro lasciando l’impronta che il tempo avrebbe trasformato in leggenda. E’ davvero
questa la sequenza degli avvenimenti? Sono diverse le versioni dell’accaduto che tuttavia non tolgono
nulla alla gravità di questo delitto d’onore.

Quindi, in apparenza un copione perfetto: il sangue che lava l’onore e restituisce dignità agli assassini.
Anche in questo caso, è davvero così? O dietro la scena si nascondevano interessi ben più concreti?
Le leggi dell’epoca, ambigue e modellate sulla posizione sociale dei protagonisti, permettevano al padre
di uccidere la figlia adultera e al marito di fare lo stesso con l’amante. Si racconta però che Don Cesare
avesse debiti consistenti con Ludovico, cancellati dall’omicidio, e che la scoperta del tradimento gli
consentisse di reclamare metà del patrimonio dell’amante. Vincenzo, dal canto suo, avrebbe ambito al
feudo di Dajnasturi dei Vernagallo. Forse furono queste, più che l’onore, le vere motivazioni.
Nonostante tutto, Don Cesare fu costretto a fuggire in Spagna, probabilmente a causa di precedenti
contrasti con il viceré Juan de la Cerda; lì ottenne il perdono del re e poté rientrare in Sicilia.
Anche Vincenzo subì un processo, ma venne assolto. Eppure un tarlo continuò a divorarlo tanto che dopo
le seconde nozze con la nobildonna Ninfa Ruiz, arrivò persino a diseredare gli otto figli avuti da Laura.
Per cancellarne ogni traccia, fece ristrutturare le stanze del castello e sull’architrave della camera della
moglie fece incidere: Et nova sint omnia — “Sia nuova ogni cosa”.
Ad oggi non si sa con certezza dove riposi il corpo di Laura. Secondo alcuni studiosi sarebbe sepolta nella
chiesa delle Anime Sante del Purgatorio a Carini, come suggerisce l’atto di morte — una delle uniche due
fonti sull’omicidio. Ma circa venticinque anni fa, nella chiesa di San Mamiliano (l’antica Santa Cita) a
Palermo, venne scoperta una cripta della famiglia Lanza con diversi sarcofagi, tra cui quello di Don
Cesare.
Accanto, un sepolcro senza nome, sormontato da un’effigie marmorea di una nobildonna raffigurata nella
quiete del sonno eterno, il capo posato su un cuscino raffinato. Una tomba muta, silenziosa.
È quella di Laura? O, come sostengono alcuni, appartiene alla madre, Lucrezia Gaetani?
Dopo cinquecento anni, la storia della baronessa e del suo amante continua a custodire gelosamente i suoi
segreti.
La vicenda di Laura Lanza, pur avvolta dal fascino cupo del Rinascimento siciliano, non è un semplice
frammento di storia lontana: è lo specchio di un dramma che, cinque secoli dopo, continua a ripetersi con
inquietante somiglianza. Nel XVI secolo l’onore familiare era legge, l’autorità maschile era assoluta, e la
vita delle donne poteva essere sacrificata senza scandalo. Oggi quegli antichi codici non esistono più, il
delitto d’onore è stato abolito, le strutture sociali sono mutate. Eppure, il cuore più buio del problema è
ancora qui.
Laura fu vittima di un sistema in cui l’uomo aveva il diritto — o meglio il potere — di decidere della sua
vita e della sua morte. Una dinamica che sembra lontana, ma che riaffiora con tragica frequenza nei
femminicidi contemporanei. Cambiano i contesti, le case, le epoche; non cambia il movente profondo: la
pretesa di possesso, l’idea che la donna sia proprietà, corpo da controllare, volontà da reprimere.
Molte storie di oggi, raccontate ogni giorno dai telegiornali o sussurrate dietro porte chiuse, sembrano
derivare dalla stessa matrice antica: donne punite perché vogliono separarsi, perché aspirano a una vita
diversa, perché reclamano libertà, dignità, autonomia. Il “malinteso senso dell’onore” dell’epoca di Laura
è diventato oggi gelosia, ossessione, frustrazione, rivendicazione del controllo. Ma la logica non è
cambiata: la violenza maschile che esplode quando il legame affettivo si spezza.
La storia della baronessa di Carini è perciò un monito potente. Ci ricorda che la violenza contro le donne
non è un’emergenza recente, ma un filo rosso che attraversa i secoli; e che ogni generazione ha il dovere
di spezzarlo.
Se cinque secoli fa la voce di Laura, gridata da una finestra — «Carinisi, m’ammazza!» — non bastò a
salvarla, oggi quel grido continua a risuonare in tante altre voci soffocate. Il compito della società
contemporanea è di non ignorarlo: ascoltarlo, riconoscerlo, intervenire prima che sia troppo tardi.
La memoria di Laura e Ludovico non è soltanto un racconto suggestivo, ma una ferita aperta che ci
obbliga a guardare in faccia il presente. Perché finché una sola donna verrà uccisa per mano di chi diceva
di amarla, la storia della baronessa di Carini resterà incredibilmente, dolorosamente attuale.

Adelaide J. Pellitteri

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