Dal sol levante al paese del sole
O’Tama Kiyohara
Leggero, effimero, delicato, quasi evanescente si rivela il segno pittorico di O’Tamà Kiyohara, ( Tokyo1861-1939) di questa donna minuta, il cui estro nel dipingere paesaggi e scene della tradizione giapponese, avrà sicuramente colpito lo scultore Vincenzo Ragusa, suo futuro marito, durante il suo soggiorno a Tokyo nel 1877. L’artista, senz’altro una delle figure femminili più interessanti nella storia della pittura siciliana, figlia di artisti/artigiani giapponesi benestanti, viveva in una Tokyo che si apriva da poco alla cultura, all’arte, all’economia dell’Occidente. Giovanissima frequentò la scuola di Vincenzo Ragusa ( 1841- 1927), docente di scultura all’Accademia Imperiale di Belle Arti di Meji, divenendone un’assidua allieva e ciò le consentì di esplorare nuovi orizzonti pittorici più vicini al gusto occidentale. Nel 1882, poco prima che la scuola diretta da Vincenzo Ragusa venisse chiusa, si trasferì con la famiglia a Palermo dove, supportata dal marito, modificò gradualmente il suo linguaggio pittorico assimilando sempre più la cultura figurativa locale. O’ Tama sposò Vincenzo Ragusa nel 1889 e, da convertita, divenne Eleonora, in segno di riconoscenza verso Eleonora Damiani Mancinelli, sua madrina di battesimo, come attesta una dedica della pittrice sul retro di un acquarello (Rondini,1905). Nella Palermo di fine Ottocento in cui gravavano molti pregiudizi sull’intellettuale- donna e sulle donne artiste che spesso firmavano i loro quadri con pseudonimi maschili, O’ Tama si rivelò un’anticipatrice di modernità sostenendo la realizzazione del sogno del suo maestro, di fondare nella città una Scuola di arti orientali di cui fu direttrice della sezione femminile e docente di ceramica, incarico che ricoprì per molti anni ma che abbandonò nel 1894, probabilmente per le tensioni che si andavano manifestando all’interno e all’esterno dell’Istituto. Si dedicò, pertanto, esclusivamente alla sua grande passione, la pittura, trasmettendo privatamente ai giovani e alle giovani provenienti da famiglie dell’alta borghesia e dell’aristocrazia palermitana, tecniche pittoriche raffinate e seduttive nell’ambito di tradizioni locali ma vivificate da emozioni orientali. I suoi dipinti costituiscono un unicum nel panorama artistico di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento, sia per la sua capacità introspettiva nel rendere le figure ritratte, sia per la sua abilità nel riprodurre gli oggetti catturandone palpiti di emozioni, e ancora per l’originalità delle composizioni paesaggistiche come si evidenzia nel dipinto La notte dell’Ascensione (1891,olio su tela) in cui l’artista traduce in modo originalissimo uno dei più sfruttati panorami marini di Palermo. La perdita del marito, il 13 marzo 1927 fu un duro colpo per Eleonora che, smarrita e confusa, decise di tornare a Tokyo. La composizione Primavera giapponese, conservata presso la Galleria D’arte Moderna di Palermo, evidenzia, forse più che altre sue opere, il desiderio di tornare in patria che si realizzò nel 1933. I suoi dipinti, siano essi fiori, animali, ritratti, trasudano di una raffinata e vibrante patina poetica che si evidenzia anche nelle sue ultime opere, realizzate in Giappone, che l’artista firmerà con il suo nome italiano, Eleonora Ragusa. Lei che, essendo vissuta a Palermo cinquantun’anni, aveva quasi dimenticato la sua lingua madre e che, probabilmente, voleva affermare la sua nuova identità di donna emancipata che aveva vissuto in Occidente la maggior parte della sua vita.
Mariza Rusignuolo