Il genio dell’immaginario siciliano nei gioielli di Fulco della Verdura
“Ce n’est pas possible ! N’est pas possible ! Nun si po’ cunzulari!” così ci disse Monique , la colf della nonna nella sua lingua , un misto di siciliano e francese , poiché nata da genitori emigrati in Belgio, quando, tornati dalle vacanze estive al mare , rientrammo a Villa Sciacca , una Villa liberty inghiottita poi nel nulla, negli anni Sessanta, durante il sacco di Palermo, con tanti altri meravigliosi edifici costruiti dal genio di Basile coadiuvato da Gregorietti. Io bambina di sei anni appena , non riuscivo a capire a cosa si riferisse Monique con quelle parole farfugliate confusamente, quasi in apnea, ma intuii dalla sua espressione che qualcosa di grave fosse successo alla “ gran maman” . I miei genitori corsero subito dalla nonna che, col viso tra le mani piagnucolava di averla cercata dappertutto senza alcun esito . Che cosa ? chiesero in coro i miei genitori . “ la spilla! la spilla!”, rispose la nonna e proseguì tra i singhiozzi “… Era di Fulco”. Ricordo che le ricerche continuarono affannosamente ma la spilla non fu più ritrovata . Negli anni questo ricordo si era quasi dileguato quando anni fa appresi di una mostra di gioielli dell’aristocratico Fulco Della Verdura che si teneva a Villa Niscemi, a Palermo, e mi tornò in mente quel nome “Fulco” pronunziato dalla nonna e quella spilla variopinta raffigurante un “escargot” o un “babbaluci” come la chiamava Monique nella sua doppia lingua, ovvero una lumaca- gioiello ricoperta di smalto azzurro che la nonna metteva nel pettaccio del suo attillato tailleur e che io spesso guardavo ammirandolo perché , effondeva una pluralità di luci che emanavano le pietre , incastonate nell’oro . Ma ciò che più mi piaceva era un piccolissimo putto che sovrastava la lumaca e che la guidava tenendo le redini ben salde . Ricordo che la nonna più di una volta l’aveva sganciata da un suo vestito per farmela ammirare da vicino ma a me sembrava una sorta di giocattolo con cui avrei voluto giocare e che non avrei più voluto restituire. Lei, però, delicatamente e amorevolmente me lo toglieva dalle mani dicendomi che si trattava di un gioiello speciale . Seppi poi che si trattava di un dono del nonno per il loro anniversario di matrimonio. Decisi di andare alla mostra , mossa da grande curiosità e mi si aprì un mondo sconosciuto , un orizzonte impensabile su questo estroso e visionario disegnatore di gioielli che stupì stilisti ed alta società. I suoi gioielli erano leggeri , estremamente leggeri come nuvole ma nello stesso tempo delicati , sottili ed eleganti. Nel disegnarli Fulco si era portato dentro l’amore e la passione per la Sicilia , rimasta sempre nel suo cuore . La mostra si teneva a Villa Niscemi , bellissima residenza nobiliare dove Fulco Santostefano Della Cerda, Duca della Verdura era nato da Carolina Valguarnera di Niscemi e da Giulio Santostefano Della Cerda , e la sua famiglia , una delle più importanti dell’aristocrazia palermitana, era imparentata con Tomasi Di Lampedusa, autore del Gattopardo. Villa Niscemi , l’unica casa che senti veramente sua, con un parco meraviglioso e con la sua fauna in pietra , senza dubbio, avrà contribuito ad evocare personaggi stravaganti e animali mitologici da lui trasformati in monili di pregiata manifattura con ambra e smeraldi , pietre dure e rubini , creando capolavori di inestimabile valore e coniugando tradizione e modernismo in cui si rifrange quell’ansia del nuovo che connotava la società del dopoguerra. Alla morte del padre che aveva delapidato tutto il patrimonio familiare, Fulco, forse spinto da un’ansia esistenziale , dalla ricerca di sé e di affermazione professionale , si spostò da una città all’altra divenendo un artista cosmopolita e venendo in contatto con esponenti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia locale . A Parigi , dove si era trasferito a metà degli anni venti subito dopo la perdita del padre , conobbe Coco Chanel che, affascinata dall’estro e dal genio del Duca siciliano , gli affidò di disegnare tutta la sua collezione di monili .

E il nobile siciliano creò per lei i bracciali bizantineggianti con croce di Malta incastonata . Nel 1937 la sua irrequietezza lo portò a New York dove nel 1939 aprì un salone di bellezza soddisfacendo aspettative e desideri dell’élite locale. L’uso del colore e il design originale e audace dei suoi monili catturano l’attenzione e incantarono attrici come Greta Garbo , Rita Haywort, Katerine Hepburn, la duchessa di Windsor, Joan Crawford che indossarono e ostentarono i suoi gioielli. Nelle sue creazioni emergono le bellezze e l’opulenza dell’anima siciliana sempre onnipresente nella sua memoria ,che lui descrive con dovizia di particolari, nel testo “Estati felici” dove narra in prima persona, con lo sguardo da bambino, la sua infanzia trascorsa a villa Niscemi e l’atmosfera che vi si respirava, il profumo della zagara, la policromia dei frutti e la varietà degli animali esotici , e ancora l’ammirazione per Palermo, per i fastosi palazzi aristocratici, per l’oro dei mosaici della Cappella Palatina, per i colori del mare al tramonto . Da qui nacque l’ispirazione per i suoi gioielli e Fulco divenne uno dei maggiori designer di gioielli di lusso, su cui si posano armonicamente i colori brillanti della variegata flora e fauna della Sicilia , un artista che, per un gioco alchemico, trasforma qualsiasi oggetto, qualsiasi ricordo della mediterraneità, in un sogno atemporale realizzato con rubini, diamanti, topazi, turchesi, conchiglie.

Dalle varianti dei suoi cuori avvolti da nodi ispirati alle corde nautiche osservate durante la sua infanzia al porto di Palermo, alle spille a forma di foglie nei colori autunnali , i suoi lavori rivelano un gioco seducente, sofisticato ed eccentrico . Dalle bacheche di Villa Niscemi ebbi la sensazione che, come per magia, riemergesse una società elegante che si divideva tra i teatri di New York dove Fulco disegnava un nuovo portasigarette per ogni esibizione del musicista Cole Porter , e i balli del barone Gunziburg al bois de Boulogne. Una società che si innamorò dei monili firmati Fulco , delle collane a più giri, degli anelli in cui un’unica pietra si elevava su un pavè di brillanti , delle bestioline barocche da lui create, degli elefanti, delle farfalle, delle conchiglie vere da cui emergevano , con raffinata eleganza , una miriade di pietre colorate, da cui sembrava che, da un momento all’altro emergesse la Venere del Botticelli dalle acque. Tra le bacheche anche il “ Turbante Verdura” portato da gran parte delle dame dell’alta società, con una conchiglia naturale incastonata tra i turchesi. Dopo la sua tragica dipartita nel 1978, a Londra, dove si era trasferito nel 1973 ritirandosi a vita privata, i suoi gioielli e il suo estro continuano a vivere nel suo atelier Verdura al dodicesimo piano, al n. 745 della Fifth Avenue di New York . Quest’ultimo, divenuto dal 1983 di proprietà di Mr. Ward Landrigan , continua a dare vita all’opera del suo fondatore realizzando non solo gioielli ma anche raffinati elementi d’arredo tratti dagli innumerevoli disegni del duca palermitano che realizzò, nei suoi monili, un sogno d’amore per la sua terra , la Sicilia, fatto di odori , profumi, colori, fauna e flora mitizzati nel suo inconscio.
Mariza Rusignuolo