Ritratti Poeti del nostro tempo Maurizio Piscopo incontra Ornella Mallo

“In un lento gocciolio

  Il Tempo 

  smussa l’aguzzo 

  in rotondi ciottoli

 su cui scivola 

 il Mare”

Con questi delicatissimi versi tratti dal libro Scriverti  Poesie  Kemonia Edizioni, introduco Ornella Mallo che ho incontrato più volte al Palazzo del poeta per la presentazione di diversi  libri. Ornella Mallo è nata nel 1967 a Palermo, dove vive. Laureata cum laude in Giurisprudenza, coltiva da sempre la passione per la letteratura. È autrice di poesie, racconti, recensioni letterarie e cinematografiche. Tra le sue passioni nel tempo libero oltre alla passione per i libri c’è … la passione per il mare. Le piace tantissimo passeggiare in riva al mare in qualsiasi stagione. Quando c’è freddo, non scende dalla macchina, ma corre sempre a guardarlo. Non c’è niente che la rilassi di più. Specialmente quando le spiagge sono deserte, e nel silenzio più profondo è possibile sentire anche i più lievi tocchi delle onde sugli scogli. Andiamo a conoscerla da vicino.

Quando nasce in te la passione per la poesia?

Intanto io ho respirato poesia fin da bambina. Mia madre, Maria Cefalù, era programmista – regista alla Rai di via Cerda, e realizzava programmi di divulgazione letteraria, per cui conosceva i più rappresentativi componenti dell’ambiente culturale siciliano, dal professor Lucio Zinna al professor Giovanni Cappuzzo, tanto per citarne alcuni. Anche mio padre era un uomo molto forbito. Entrambi mi hanno trasmesso l’amore per la lettura fin da quando ero piccola.
Essendo figlia unica, la lettura dei libri mi consentiva di immergermi in vite altre, e di considerare i protagonisti delle storie che leggevo, compagni di gioco e di fantasticherie. Mi piaceva anche imparare le poesie a memoria, che ripetevo – cantilenandole – nell’arco delle giornate. Da adolescente, avendo intrapreso studi classici, usavo trascrivere le poesie che toccavano le corde del mio cuore. Ho avuto la fortuna di incontrare lungo il percorso di crescita professori che mi hanno fatto amare le letterature antiche. Ricordo ancora le lezioni del professor Roberto Picone al liceo classico Vittorio Emanuele, che mi hanno fatto sentire in prima persona il dolore della delusione amorosa di Catullo. E così trascrivevo in un quaderno rosso che ancora oggi conservo, non solo le poesie dell’appena citato autore latino, ma anche poesie di altri autori, come Kavafis o Montale. Ma non ho mai osato scrivere alcunché, fino a quando non ho incontrato la professoressa Maria Antonietta La Barbera. Era il 2017. Mi ero iscritta al suo corso di scrittura perché sentivo l’urgenza di raccontare quanto avevo imparato dalle mie esperienze di vita. Ero in età matura, grande abbastanza da sentire l’esigenza di tirare le somme, e fare il punto della situazione in cui mi trovavo. Capire cosa mi era rimasto di tutto quel vivere. Scrive Massimo Recalcati nel suo ultimo libro, “La luce e l’onda”, che il bravo insegnante deve da un lato illuminare il sapere “erotizzandolo”, ossia renderlo desiderabile dando forma a ogni incontro; dall’altro insufflare nell’allievo fiducia in sé stesso lasciandolo affrontare da solo le onde perigliose. Ecco, i maestri che ho incontrato sono stati capaci di tanto nei miei confronti. Colgo l’occasione per ringraziare loro e i miei genitori, che mi hanno permesso di crescere in simile humus.

C’è tanto bisogno di poesia nel mondo in cui viviamo…

Sono d’accordo. Intanto perché la poesia dà voce all’invisibile, che proprio per sua natura, è anche indicibile, o comunque difficilmente esprimibile. I più grandi psichiatri, uno fra tutti Eugenio Borgna, si sono avvalsi delle poesie dei più grandi autori, o anche di persone sconosciute, per studiare e rendicontare i più reconditi moti dell’animo in presenza di situazioni psicopatologiche o fisiologiche. Per esempio, come parlare del sentimento più importante della nostra vita quale è l’amore, se non attraverso la lettura dei versi che hanno scritto sull’argomento i poeti di tutti i tempi? O anche, come esprimere il dissenso nei confronti del potere politico costituito in modo incisivo se non ricorrendo alla poesia che, grazie agli strumenti che le sono propri, quali la metafora e la concisione, centra le problematiche e individua le soluzioni in modo diretto, senza l’interposizione di parole fuorvianti? Il linguaggio allegorico e le immagini poetiche, in più, permettono di eludere qualsiasi censura. Pensiamo ad esempio a Dante, che nella Divina Commedia ha saputo sia scandagliare tutta la vastissima gamma dei sentimenti umani, nobili o abietti che fossero, sia protestare contro la corruzione e la deriva morale dei suoi tempi.
Non dimentichiamo, inoltre, che nella nostra epoca assistiamo a profluvi di parole inutili. I social ci tempestano di fake news e di messaggi che spesso non vogliono trasmettere nulla di profondo, e si fermano alla superficie delle cose.
Ecco, la poesia insegna a diffidare della banalità, e a dare peso e significato alle parole. 

-Cosa rappresenta la scrittura nella tua vita?

La scrittura per me è sicuramente il rifugio in cui ripararmi quando mi sento aggredita dai colpi della vita. La nostra è una società violenta, divisiva, egoica. Si tende a usare le persone come fossero merce, piuttosto che a instaurare rapporti paritari fondati su un reciproco scambio. Per cui io tendo a sottrarmi dalle fauci dei predatori rinchiudendomi in quella “stanza tutta per me” – parafrasando Virginia Woolf – che è la scrittura. Senza dire che attraverso i miei testi tendo comunque a costruire ponti con i miei lettori. Perché la scrittura, essendo fondata sulla parola, è una delle più importanti forme di comunicazione. E la parola distingue l’uomo da tutti gli altri esseri viventi sulla Terra.

I poeti e la guerra, un racconto doloroso che non dovrebbe essere scritto in   nessuna

pagina dei libri, sui giornali e in tv e nemmeno nella vita reale?

Sul perché esiste la guerra è difficile rispondere. Indubbiamente in ogni uomo esiste un conflitto tra le sue potenzialità costruttive, l’Eros, e le sue potenzialità distruttive, il Thanatos, per dirla con Freud. Se ogni uomo fosse in pace con sé stesso, realizzerebbe rapporti distesi e sereni, non conflittuali.
In larga scala, la radice della guerra risiede anche nell’attaccamento dell’uomo nei confronti dei beni materiali. Alla base della gran parte dei conflitti c’è una più o meno occultata bramosia di accumulo di ricchezze e di potere, soprattutto oggi. Assistiamo infatti al compimento di scelte da parte di molti uomini politici, che non appaiono dettate dal conseguimento del bene comune, come imporrebbe il termine stesso “democrazia”, ossia potere del popolo; ma sono politiche mosse da ragioni economiche, che favoriscono tra l’altro l’arricchimento di pochi eletti, piuttosto che della popolazione. Personaggi grotteschi come Trump, Netanyahu, Putin sono lì a dimostrarlo. Le religioni non sono che alibi dietro cui si nascondono avidità e cupidigia, di questo sono convinta. Nessun Dio può volere che in suo nome vengano uccisi uomini, donne, bambini. Dio è sicuramente spiritualità, considerato che non appartiene alla sfera delle cose visibili. E la spiritualità si associa alla contemplazione e alla non violenza, perché dà risalto al valore delle idee che camminano da sole, senza nessun altro supporto.
La mentalità consumistica e capitalistica sfocia in un pericolosissimo edonismo, che può portare alla guerra. E la poesia, che con la spiritualità è strettamente connessa, può sicuramente tracciare la strada che conduce alla fratellanza dei popoli e allo spegnimento di ogni conflitto. In più, la poesia, quando è vera, induce in chi la compone l’esercizio della facoltà critica e di discernimento nei confronti del potere costituito, poiché ricerca valori assoluti, che garantiscono benessere per tutti, e non per pochi privilegiati. Ecco perché penso che il più bel libro di poesia sia il Vangelo, per quella visione assolutamente paritaria di tutti gli uomini, e di contestazione nei confronti delle autorità politiche del tempo.

Ha ancora un senso parlare di poesia ai nostri tempi se il mondo sembra

impazzito?

È necessario educare i ragazzi alla poesia, creare laboratori poetici fin dall’asilo. Dando valore alla parola, esaltandone le potenzialità espressive, si pone rimedio al caos, che è dato proprio dal parlare a vanvera, dalla volontà di ottundere ogni capacità critica, e dall’uso della parola con intento manipolatorio e persuasivo, piuttosto che come strumento di un dialogo volto alla conoscenza della Verità.

Un tuo commento su un pensiero dello scrittore polacco Isaac Bashevis Singer:

“Se Dio è misericordioso perché muoiono i bambini”?

Il punto è che non è Dio a non essere misericordioso. Non è misericordioso l’uomo che, pur di raggiungere i suoi obiettivi, uccide i bambini. L’uomo è per sua stessa natura mortale, e Dio non può impedire le sofferenze indotte dalle malattie, a qualsiasi età vengano contratte. Per chi crede, la fede va riposta anche nella giustezza del divino disegno inesplorabile sotteso a tutti gli accadimenti. Quanto alle efferatezze di cui l’uomo è capace, Dio ha dato il dono del libero arbitrio, e non esiste dono più grande. Il fatto che gli uomini se ne servano per uccidere e per distruggere, piuttosto che per costruire rapporti di fratellanza tra loro, non intacca la misericordia di Dio, pronto a perdonare chi si pente delle sue malefatte.
Sottolineo che quanto detto richiede come premessa la fede. Da un punto di vista ateo o agnostico, quindi negando o dubitando dell’esistenza di Dio al punto da non pronunciarsi al riguardo, il baricentro si sposta da Dio all’uomo. E allora occorre richiamare gli uomini a una misericordia laica, al valore della compassione, ossia del soffrire insieme, per impedire gli eccidi a cui oggi assistiamo impotenti.

Quanti libri hai scritto finora e a quale sei più legata?

Finora ho scritto due libri: “Scriverti”, che è stata la mia prima silloge poetica, pubblicata nel febbraio del 2022; e “Sarà come non fossimo mai stati”, raccolta di racconti pubblicata nel gennaio del 2024. Chiaramente sono legata a tutti e due. I libri sono figli. Né più né meno.

Qual è l’ora del giorno in cui ami scrivere?

Bella domanda. La scrittura si inserisce tra le mie attività di casalinga, quale effettivamente sono. Di solito preferisco scrivere la mattina a mente fresca, ma non sempre mi è possibile. Per cui sono costretta a scrivere nel tardo pomeriggio, o addirittura la notte.

Cosa non hanno compreso gli uomini delle donne?

Direi cosa non comprende l’uomo dell’altro uomo, a prescindere dal sesso. Il problema dell’incomunicabilità, che ha cominciato a essere rilevato con la Rivoluzione Industriale, alla fine dell’Ottocento e nei primi del Novecento, e che ha raggiunto vette esponenziali nei tempi che stiamo vivendo, con il boom della tecnologia e l’avvento dell’intelligenza artificiale, vede alla radice il culto dell’ego, dentro le cui mura ci si asserraglia senza alcuna volontà di uscirne fuori. È scomodo prendersi cura dell’altro, toglie tempo a sé stessi. Per cui si finge di non capire. O non si ascolta neppure la voce dell’altro. Comunicare, da ‘cum – munus’, ossia ‘mettere un dono in comune’, è diventato rarissimo ai giorni d’oggi. Si preferisce possedere l’altro, soverchiarlo, obbligarlo a fare ciò che risulta comodo. Tra uomo e donna tutto ciò è esasperato, anche perché per secoli la donna è stata collocata in una posizione di subalternità rispetto al maschio. Uscire da questo tunnel è molto difficile. Passi avanti sono stati fatti, ma ancora siamo ben lontani dalla parità tanto auspicata. E i femminicidi dimostrano che la strada è ancora lunga da percorrere.

Cosa sfugge alle donne della fragilità degli uomini del nostro tempo?

Intanto non generalizzerei. È chiaro che tratti narcisistici di personalità possono risiedere tanto negli uomini quanto nelle donne. E dunque, come ci sono uomini incapaci di compassione, così ci sono donne dominatrici e manipolatrici, non ci sono dubbi in proposito.
Sottolineo il termine “compassione”, che contrappongo al termine “empatia” tanto di moda in questi giorni, essendo fermamente convinta che anche i narcisisti sono empatici. Solo che usano l’empatia per cogliere le vulnerabilità dell’altro per meglio ferirlo, se non ucciderlo, psicologicamente e fisicamente anche, nei casi estremi.
Ma quando la donna non è narcisista in modo patologico, le è proprio il tratto materno e accudente, che è la quintessenza della femminilità. E quindi, non credo che possano sfuggire alla donna le fragilità del compagno. Sempre però che il compagno sia recettivo e disposto a costruire un rapporto, una relazione. La famosa frase di Dante “Amor ch’a null’amato amar perdona”, valeva per Paolo e Francesca e per pochi altri amanti. Lo stesso Alighieri nella vita privata era separato, Beatrice era l’idealizzazione di un sogno. In molti casi, tra le persone che stanno assieme, non c’è una vera e propria relazione, oggi come oggi. Spesso, è uno stare accanto per forza di inerzia, o per comodo, o per interessi economici e sociali.

I bambini bisogna educarli alla bellezza e alla poesia sin da piccoli. Sei

d’accordo?

L’ho già detto e lo ribadisco. Uno studio pubblicato su “Hospital Pediatrics” nel 2021 ha valutato gli effetti della lettura e della scrittura su un gruppo di 44 bambini ricoverati in ospedale, cui erano stati dati carta, pennarelli, spunti di scrittura e poesie da leggere. Si è visto che nei partecipanti si erano ridotti in modo considerevole paura, rabbia, apprensione, preoccupazione, stanchezza, tristezza. Esiste addirittura la Poetry Therapy, nata nel secolo scorso negli Stati Uniti.
Inoltre, la poesia educa i bambini ad apprezzare il silenzio e il raccoglimento, necessari per scegliere le parole da scrivere; e a non avere paura della solitudine, che non viene così considerata come un mostro da abbattere piegandosi così a ogni tipo di compagnia, ma come una risorsa produttiva in cui ritrovare sé stessi. O, al contrario, con l’esperienza della scrittura partecipata, i bambini imparano a coordinare i propri talenti per una progettualità comune. 

“Un tempo gli alberi avevano occhi” (Donzelli, 2004) è il titolo di un

libro di poesie di Ana Blandiana, poetessa rumena. Conosci questa

poetessa?

Sono sincera. Ho conosciuto questa poetessa grazie a Te, prima non l’avevo mai letta. E di questo ti ringrazio profondamente. Proprio nella poesia “Un tempo gli alberi avevano gli occhi” Ana Blandiana sembra dubitare del sentimento panico che l’aveva attraversata per una vita intera. Infatti, scrive: “Invano ora cerco gli occhi degli alberi. / Forse non li vedo / perché albero non sono più”. Senza averla letta prima, per quella intima connessione che esiste tra poeti, sembro risponderle nel racconto “Memoria”, contenuto nel mio libro “Sarà come non fossimo mai stati”, e scrivo: “Ci chiamano uomini ma siamo alberi”. C’è una forte affinità tra gli uomini e gli alberi, non foss’altro che per i cerchi concentrici che si accumulano dentro i tronchi, testimoniando quanto hanno vissuto. Negli uomini, il decadimento fisico racconta quello che sono diventati nel tempo, che va custodito e ricordato, estraendone il succo. Inoltre, come gli alberi abbiamo una dimensione verticale, che ci incunea nelle profondità della Terra, e al contempo ci induce a protenderci verso il cielo, allungando le nostre braccia come fossero rami per toccarlo.
Nel raggiungimento della spiritualità più pura, scollandoci il più possibile dalla dimensione terrena, risiede la vera umanità. Ne sono convinta.

Che cosa non hanno capito gli adulti dei bambini? Una volta i bambini

giocavano per le strada. Oggi sono guardati a vista e a sei mesi hanno in

mano il cellulare…

Il cellulare ha distrutto le vite degli adulti e dei bambini. Usato in modo distorto, per come succede il più delle volte, continuamente connesso ai social, il telefonino è un muro, non un ponte. Oggi l’uomo sfugge al contatto con l’altro trincerandosi dietro uno schermo, che sia del cellulare o del computer. Niente di più sbagliato, e di più disumanizzante. La tecnologia deve essere a servizio dell’umanità, non l’umanità a servizio della tecnologia. L’uomo non deve delegare il discernimento alle macchine e alle intelligenze artificiali, ma impedire l’atrofia del pensiero esercitandolo il più possibile, evitando quelle omologazioni e quegli stereotipi in cui vorrebbero imprigionarlo i potenti della terra per imporre il loro predominio. Rischiamo di perdere la libertà e i valori democratici conquistati a fatica nell’Illuminismo e nell’Ottocento. Di questo dobbiamo essere consapevoli e impedirlo, il più possibile.

Neil Postman ha ipotizzato la scomparsa dell’infanzia. Uccidendo

l’infanzia si uccide tutta l’umanità?

Diceva Karl Jaspers: “Rimane infatti bambino chi è veramente uomo”. Chi è uomo, nel senso proprio del termine, ossia illuminato e rispettoso dell’altro uomo nel proprio agire, mantiene dentro di sé una dimensione di purezza che lo avvicina al bambino. Pascoli parlava del “fanciullino” nascosto in ognuno di noi. Anche Rilke richiamava il lettore a custodire quella parte di sé ancora incontaminata e non guastata dai veleni e dalle meschinerie in cui ci si imbatte vivendo.
Detto questo, è ovvio che dobbiamo permettere ai bambini di essere tali, e non adultizzarli anzitempo lasciandoli in balia di tecnologie che possono guastarli e stordirli pericolosamente con messaggi pornografici e violenti. Mi pare opportuno citare la frase con cui si conclude il libro di Postman “La scomparsa dell’infanzia”: “Non è immaginabile che la nostra cultura dimenticherà di avere bisogno dei bambini. Ma si è quasi giunti a dimenticare che i bambini hanno bisogno dell’infanzia. Quanti si preoccupano di ricordarlo compiono un servizio meritevole”. Tuteliamo i nostri bambini dedicando loro il nostro tempo, parlando con loro e ascoltandoli, per come meritano. E, raggiunta l’età adulta, dobbiamo custodire il più possibile la nostra dimensione infantile agendo in modo puro, non contaminato da scopi utilitaristici, a detrimento dell’Altro. Soprattutto coltiviamo il senso della meraviglia, stupendoci davanti alla bellezza – mai scontata – delle cose semplici.
Anche in questo, può essere di grandissimo aiuto la poesia. La vera poesia non asseconda fini materiali, non è soggetta a valutazioni di mercato o commerciali. Educa quindi al valore della gratuità. “Abitare poeticamente il mondo”, diceva Bobin. Abitiamolo poeticamente, questo mondo. E le ingiustizie, le guerre, sicuramente non vi troveranno più posto.

Ciaula moderno è prigioniero nelle grotte virtuali di internet. E’ convinto

che il mondo reale sia tutto lì. Quali sono le problematiche della rete che

disturbano la vita dei bambini?

La mancanza dell’incontro con l’altro. E non è poco. L’incontro con l’altro attraverso la rete è pura illusione. Consente di ingannare, di manipolare, di condannare anche a una gogna mediatica. I bambini devono giocare tra di loro nei giardini, in riva al mare, in montagna, e devono conoscere gli altri bambini di persona. Guardarsi negli occhi. Non temere il contatto fisico. Lo schermo, che sia del cellulare o del computer o della televisione, in realtà non è che una barriera che condanna alla solitudine e all’appiattimento cerebrale, sacrificando l’unicità della persona, la sua individualità. Dobbiamo fuggire da tutto ciò tutti, adulti e bambini.

La Bibbia è maschilista come la Tv di oggi che rappresenta la donna in

maniera “offensiva e fuori tempo massimo”?

Per molti esegeti la Bibbia riflette una società rozza e retriva di pastori nomadi dell’Oriente. Il suo testo, per quanto considerato per secoli rivelato, fondativo e di origini soprannaturali, non sembra sfuggire alla regola aurea per cui ogni scritto è condizionato dai tempi in cui viene concepito. Per esempio, il famoso mito per cui Eva è stata creata prendendo una costola da Adamo, secondo una interpretazione riportata da Armanda Guiducci nel saggio “La mela e il serpente”, in realtà riflette una società in cui era ammesso il matrimonio endogamico. Infatti, Eva, pur attinta da una costola di Adamo, ne diventa la sposa. Ma ancora più maschiliste sono state le interpretazioni che della Bibbia sono state date nel corso dei secoli, volte a imprigionare la donna in una condizione di soggezione o, peggio, a colpevolizzarla dei mali della Terra. Pensiamo a quanto scriveva Tertulliano in “De cultu feminarum”: “Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, – l’ignominia, io dico, del primo peccato -, e l’odio insito in lei, causa dell’umana perdizione”.
Per fortuna, ultimamente, si è dato risalto al ruolo importantissimo che invece ha avuto Eva nell’emancipazione dell’uomo da uno stato di inferiorità rispetto a Dio. Incitando Adamo a cogliere e a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, Eva gli ha consentito di essere uguale a Dio nel discernimento tra il bene ed il male. Da Dio l’uomo si distingue in quanto mortale, mentre Dio è immortale. Anche se, sempre in Genesi, viene spiegata la dipendenza della donna dall’uomo nel desiderio sessuale che lei prova nei suoi confronti. Di più. Non dimentichiamo le donne della Bibbia che sconfiggono il nemico con la loro astuzia tutta femminile, proteggendo così il popolo di Israele: ricordiamo Debora, Giaele, Giuditta e tante altre. Ci sono sempre state le donne capaci di sfuggire al predominio dell’uomo e pronte a guidarlo e a sostenerlo nelle sue battaglie.
Quanto alla televisione, non c’è dubbio che purtroppo ci sono programmi trash che reificano la donna, facendo di lei un oggetto da concupire. Spesso le donne in questo sono complici. E lo dico da donna, sottolineando come dovrebbero essere proprio loro a ribellarsi al cliché seduttivo a cui le condanna l’uomo in modo non troppo subliminale. Il boom della chirurgia estetica sottolinea come la femmina cerchi di compiacere il fantasma maschile sottoponendosi a trattamenti volti a migliorarne l’aspetto fisico.
La donna dovrebbe emanciparsi da questi stereotipi e far valere la sua testa, la sua cultura, e riporre le sue armi seduttive nella personalità più che nell’aspetto estetico.

Cosa salverà il mondo?

La cultura e l’educazione al bello. Dove per bello intendo la bellezza della natura, che va rispettata e valorizzata, piuttosto che distrutta con l’artificiosità. E intendo pure la bellezza di tutte le arti, che valorizzano la capacità creativa dell’uomo. Anche la creatività avvicina l’Uomo a Dio. Sempre per chi crede, naturalmente.

Qual è la città che ami di più?

La mia Palermo, ovviamente. Ma ho amato particolarmente anche New York, con la sua vitalità, il suo dinamismo. Ecco, amo le città vive, effervescenti.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Un libro di poesie. Non aggiungo altro.

Biografia

Ornella Mallo è nata nel 1967 a Palermo, dove vive. Laureata cum laude in

Giurisprudenza, coltiva da sempre la passione per la letteratura. È autrice di poesie,

racconti, recensioni letterarie e cinematografiche. Ha frequentato laboratori di

scrittura, tra cui i corsi organizzati dalla Scuola Holden, collaborando con testi di

prosa e di poesia alle antologie edite dall’Associazione culturale ParteciPalermo. Nel

2022 ha pubblicato la silloge Scriverti per i tipi di Kemonia editrice. Suoi testi poetici

e narrativi sono inseriti in numerose antologie, tra cui Caro maschio che mi uccidi, Il

libro delle storie finite, Teorema del corpo. Sentire d’eros, FusibiliaLibri, 2019,

2020, 2021; Racconti siciliani, Historica edizioni, 2020; Poeti del Nuovo Millennio,

Aletti, 2022. Sempre per Aletti ha conseguito menzioni di merito e il secondo premio

nell’ambito del diciassettesimo Concorso internazionale “Dedicato a… – Giornata

Mondiale della Poesia”. Dal 2019 collabora con la testata giornalistica on line “Radio

Off”, per cui cura la pagina culturale realizzando interviste, e scrivendo recensioni

letterarie e cinematografiche. Dal 2022 fa parte della redazione di “Radio Poetanza”,

e dal 2023 scrive per il blog “Verso libero”. Sempre dal 2022 collabora con la rivista

“Il convivio”, rivista scientifica inserita nell’ANVUR – Area 10 – Classificazione

delle Riviste Scientifiche, scrivendo articoli di critica letteraria. Per la poesia si

cimenta in diversi schemi metrici: dal verso libero alla sestina poetica, dalla metrica

leopardiana agli haiku, tanka, landays, petit-onze, senryu e tautogrammi.
Nel gennaio del 2024 è uscito, per i tipi della Fusibilia, la raccolta di racconti “Sarà come non fossimo mai stati”. Sempre nel 2024 ha curato la sezione “Poesia” per il Palazzo del Poeta del cui comitato scientifico fa parte.

Maurizio Piscopo

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