Matteo Collura e la Sicilia

Matteo Collura ha compiuto da poco ottant’anni ed è stato festeggiato ad Agrigento come giornalista e scrittore. Un percorso culturale lungo e interessante. Da Agrigento a Palermo, poi a Milano, al Corriere della Sera. Nella sua vita ha avuto la possibilità di avere tra le mani un osservatorio privilegiato. Ha visto da vicino i Sud del mondo che si allontanavano sempre di più. L’incontro con Sciascia, e i maggiori scrittori contemporanei, i libri sulla Sicilia.  Lo scrittore pensa che il mondo si è incattivito e che l’umanità sta vivendo un momento molto rischioso. Chi governa i social ha in mano le sorti del mondo, nessuno compra più giornali per informarsi. La Sicilia ha bisogno di cambiare definitivamente pagina. Ma andiamo a conoscere Matteo Collura da vicino.

Danilo Dolci ha scritto: “gli intellettuali sono mostri senza mani”, cosa intendeva dire? 

Su questo giudizio di Danilo Dolci non credo si possa rispondere senza conoscere il contesto in cui è stato espresso. È una frase molto dura, e direi ingiusta se si tiene conto degli intellettuali di allora, tra i quali Pasolini, Sciascia, Moravia. Il Corriere della Sera, nell’inverno del 1985, mi mandò a intervistarlo in Sicilia, dove lo trovai ancora lì, a Partinico, tra i figli dei contadini e dei pescatori che nel dopoguerra lo avevano visto arrivare caparbio e squattrinato come un antico missionario. Ricordo che nel mostrarmi una bacheca, mi disse: “Ecco come può finire il mondo”. In quella vetrinetta erano conservati alcuni oggetti recuperati a Hiroshima dopo l’atomica: una canna di bambù, una tegola, una bottiglia orribilmente deformata. Come, credo, tutti coloro che praticano la non violenza, Dolci aveva un carattere forte, duro, imprevedibile.

Ha ancora un senso parlare di letteratura ai nostri tempi se il mondo sembra impazzito?

Di letteratura si parlerà sempre, anche se non sarà la letteratura a salvare il mondo. La letteratura è memoria, civiltà, conservazione e trasmissione dei valori; la letteratura è un dono a disposizione di ogni essere umano perché possa vivere altre vite, conoscere tutto quello che altrimenti gli resterebbe ignoto. Tuttavia, non ci si può aspettare da essa un potere salvifico. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, l’Occidente ha prodotto la migliore letteratura che si possa immaginare, pagine e pagine dedicate al primato della pace, al disprezzo della guerra, eppure a una prima è successa una seconda guerra mondiale. 

Un commento su un pensiero dello scrittore polacco Isaac Bashevis Singer: “Se Dio è misericordioso perché muoiono i bambini”? 

Sono un grande ammiratore di Isaac Bashevis Singer, credo di aver letto tutto quanto di lui pubblicato in Italia. Un narratore eccezionale, senza alcun orpello retorico né ideologico. Scrittore ebreo in tutto, scriveva in yiddish, non ebbe mai tentazioni moralistiche di tipo religioso. Da qualche parte scrisse di un colloquio tra due personaggi sul tema del bene e del male, sulla supposta misericordia di Dio. A proposito della sofferenza dei bambini, ma anche degli animali, in quel testo uno dei due dice che Dio è male, anzi peggio, citando Spinoza: che è indifferente.

“Se Dio si mettesse a scrivere che libro scriverebbe”…?

In un certo senso il Dio dei cristiani e dei musulmani l’ha già scritto, il suo libro: la Bibbia. In ogni caso, se Dio esiste, il creato è già il suo capolavoro. Non è un grande, immenso libro, l’universo? 

Lei ha scritto su Pirandello cosa è ancora taciuto dello scrittore agrigentino?

Ho scritto un libro su Pirandello per rimediare alle cose taciute su di lui. Il nipote Andrea Pirandello, figlio di Stefano, il primogenito del drammaturgo, in un’intervista disse che suo nonno era stato tenuto sotto tutela morale da parte dei familiari e dei critici. E aveva ragione, perché si è letto e udito persino di un Pirandello antifascista. No, grazie anche ai discendenti come il nipote Andrea, di Pirandello ora non è taciuto nulla. 

Cosa può dire sulle lettere di Marta Abba? 

Le lettere di Marta Abba sono quelle di una donna non divorata dalla passione amorosa, come lo fu il “suo” Maestro. Contengono informazioni, raccomandazioni, perplessità, entusiasmi e delusioni, sempre espressi in modo sintetico e razionale. Tutto il contrario delle lettere di Pirandello alla Abba. Inondata dalle sue lettere, ad un certo punto l’attrice gli scrive: “Non so come potrei fare a rispondere a tutte le Sue lettere che sono volumi, e la maggior parte di parole inutili e che mi contristano, mi irritano, mi fanno star male”. Lui, come se niente fosse, continuava a scriverle nel suo modo nevrotico. Nei suoi scritti, l’attrice gli dà sempre del lei e non dimentica mai di chiamarlo Maestro. La Abba, per discrezione, e non credo per calcolo, nelle lettere non accenna quasi mai ai gravi problemi familiari di Pirandello. Mostra una devozione che viene dal grande rispetto per il genio del suo interlocutore, ma che potremmo definire anche filiale.

Che tipo di relazione c’è stata tra Marta Abba e Luigi Pirandello?

Innanzitutto quella tra un grande autore teatrale e la sua interprete ideale. Poi si può parlare di una relazione amorosa a senso unico. Pirandello amò Marta Abba, ma di un amore che potremmo definire di carta, scritto nelle lettere di lui a lei, più che consumato nella realtà. Lei non superò mai il confine di un affetto rispettoso e ammirato. Il Meridiano che raccoglie le lettere di Pirandello a Marta dicono tutto sul loro rapporto. 

È vero che la cultura nasce sempre dalla provincia?

Non sempre, ma spesso. Del resto, la cosiddetta opinione pubblica viene in gran parte dalle tante piccole realtà locali più che dai grandi centri urbani. Noi italiani, quando diciamo Italia ci riferiamo soprattutto a quel che viene prodotto o pensato nelle grandi città, come Roma, Milano, Torino. Mentre in realtà c’è tutto un mondo che sconosciamo (e sottovalutiamo) nelle pieghe montagnose, andando giù per gli Appennini, fino alle isole minori. Insomma, a proposito della produzione letteraria, la provincia ha un vantaggio statistico.

Molti scrivono libri e pochissimi li leggono. Un paese che non legge finisce nelle mani di un governo autoritario…

Non è così semplice. I tedeschi, negli anni Venti e Trenta, erano un popolo colto, amante della letteratura, della musica, delle arti in genere. Eppure sono finiti preda del mostro nazista. Sì, è vero, si legge poco e si scrive molto, soprattutto si pubblica una quantità di libri impressionante. Questo forse è dovuto al narcisismo che ormai domina individui e masse.

Lei ha definito la Sicilia un’isola ferita dai contrasti… 

Per Vitaliano Brancati la Sicilia è l’Europa che finisce, vista da Nord. Se ne deduce che dai marocchini, dagli algerini e dai tunisini, la Sicilia è l’Europa che comincia. In effetti è proprio questo, la Sicilia: l’Europa che comincia e finisce. E questo non può che causare contrasti. Naturalmente ogni microcosmo ha le sue caratteristiche e i suoi contrasti. Io ho guardato quelli del luogo in cui sono nato e che conosco di più.

Quando si sveglieranno i siciliani dal lungo sonno che li ha colpiti?

 I siciliani sono stati sempre svegli, hanno finto di dormire, perché così è convenuto loro. “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali”, dice il principe di Salina nel Gattopardo. Illuminante, quel romanzo, ma oggi, credo, non più specchio della realtà. Giuseppe Tomasi di Lampedusa volle dare un alibi alla sua classe sociale, allora in inarrestabile declino ma ancora esistente. Oggi molte, troppe cose sono cambiate. I siciliani sono svegli più che mai, grazie anche a un’informazione che ormai arriva ovunque e a chiunque. É l’economia ad essere immersa nel sonno, l’attività imprenditoriale, tutto ciò che altrove, cioè al Nord, genera benessere. 

Lei e l’esperienza giornalistica: dal “Giornale di Sicilia” al “Corriere della Sera”. Com’è andato a finire a Milano nella qualità di redattore culturale?

Il “Giornale di Sicilia” è stata la base della mia formazione. Sono diventato giornalista professionista lavorando in quel quotidiano. Poi, per motivi soprattutto ideologici, di cui per fortuna oggi mi sono liberato, sono passato al giornale “L’Ora”. Nel frattempo ho scritto un romanzo, “Associazione indigenti”, che, grazie a Sciascia, è arrivato ad essere preso in considerazione dalla casa editrice Einaudi. Italo Calvino lesse il dattiloscritto e ne consigliò la pubblicazione. Fu una svolta, per me. Divenni scrittore. Grazie anche a questo mio libro e all’aiuto di colleghi più anziani, che avevano avuto modo di apprezzare il mio lavoro, fui assunto al “Corriere della Sera”, dove mi trovai subito a mio agio, perché abituato a svolgere il lavoro di giornalista in un luogo difficile come la Sicilia. 

Che ricordo ha di Milano?

A Milano ci vivo da una vita, dal 1978. E non è ancora tempo di averne ricordo.

Cosa pensa del “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, perché Vittorini non ha voluto pubblicarlo e ha scelto “La luna si mangia i morti” di Antonio Russello, libro che non ha avuto fortuna?

Penso che “Il Gattopardo” sia il romanzo italiano più importante dopo “I promessi sposi”. E sulla bocciatura di Vittorini va detto che sono state scritte vere e proprie scemenze. Vittorini non poteva accogliere quel romanzo nella innovativa collana che allora dirigeva per Einaudi, “I Gettoni”. “Il Gattopardo” ha un impianto narrativo ottocentesco, classico si potrebbe dire, ci sarebbe stato come cavoli a merenda nella collana dei “I Gettoni”.

Lei è considerato il biografo più importante di Leonardo Sciascia. Cosa pensa dei suoi libri? A quali è più legato? 

Leonardo Sciascia è un gigante del secondo Novecento letterario italiano, uno straordinario scrittore che cresce con il passare del tempo, al contrario di quanto avviene per la maggior parte degli altri autori. I suoi libri sono uno strumento ineguagliabile per leggere la realtà non soltanto siciliana del suo tempo come del nostro. Ma c’è un aspetto, nell’opera di Sciascia, che viene tenuto in ombra se non nascosto, ed è quello che non esito a definire eversivo. I suoi libri, ed alcuni in particolare, dicono questo. Mi riferisco a “Il contesto”, “Todo modo”, “Il cavaliere e la morte”, “Una storia semplice”. Sciascia non era per il cambiare tutto per non cambiare niente, ma per il cambiare inteso in modo radicale. A ogni costo.

Qual è la sua opinione sui maestri elementari… Ne è rimasto ancora   qualcuno? 

A proposito dei maestri elementari, mi vien da pensare subito a Sciascia, ma anche ad Alberto Manzi, quello di “Non è mai troppo tardi”. Anche Mussolini era un maestro elementare. Oggi credo siano pochissimi, perché alle elementari insegnano quasi esclusivamente le donne.

Con la scomparsa di Pasolini e Sciascia siamo rimasti veramente soli?

 Ho detto e scritto più volte che Pasolini e Sciascia sono stati i più importanti intellettuali del secondo Novecento italiano. Qui aggiungo che si sono rivelati insostituibili. Ma altri importanti scrittori che possiamo definire intellettuali operavano al tempo di Pasolini e Sciascia: Moravia, Manganelli, Calvino, Eco, per citarne solo alcuni. Oggi è il deserto, e non soltanto in Italia.

Lei ha conosciuto i maggiori intellettuali italiani e internazionali. Mi può parlare del suo rapporto con Italo Calvino? 

Il mio rapporto con Italo Calvino può essere considerato inesistente. Calvino era un uomo timido e non molto disponibile alle facili amicizie. Devo a lui la pubblicazione, nel 1979 da Einaudi, del mio primo romanzo Associazione indigenti. Eppure gli strinsi la mano una sola volta, a Milano, alla fine di un convegno. Il destino ha voluto che quando fu colpito da un ictus mortale, fossi io a descriverne la fine sul Corriere della Sera. Calvino morì nell’ospedale di Siena, dove era arrivato in coma dalla località di vacanza dove si trovava.

Jorge Luis Borges afferma che “non è stato Dio a creare il mondo, ma sono i libri ad averlo creato.” Lei cosa ne pensa”?

Borges è un visionario che ha letto tutti i libri. La biblioteca che lui ha immaginato rappresenta l’universo, con i suoi strabilianti contenuti, ma anche con i suoi inquietanti misteri. Gli antichissimi miti e poi libri hanno via via messo a punto un’immagine di Dio che, qualunque essa sia, non può essere mai quella di un vero Dio, se esiste. Questo ci dice Borges. Ricordo che in un suo scritto parla di un uomo che si sottopone a un lavoro inconcepibile: disegnare, dare un volto all’universo. Ebbene, alla fine, quell’uomo si accorge di aver tracciato sulla carta la sua immagine. Non so se quell’immagine può anche essere Dio. Borges ci porta a sospettarlo. Borges è un letterato giocoliere. Non si capisce mai quello in cui crede veramente.   

Da cosa è nata la forte polemica tra Grazia Deledda e Luigi Pirandello?

La vicenda dell’inimicizia tra la Deledda e Pirandello mi è stata sempre oscura e direi anche piuttosto sgradevole. Nel libro “Suo marito”, Pirandello fa una caricatura pesante e non tanto velata nei confronti del consorte della scrittrice, totalmente asservito a lei, alla promozione della sua carriera di scrittrice. Il motivo? Questo non si è ben capito. Certo non può essere per una reazione al premio Nobel ricevuto nel 1926 da Grazia Deledda, perché quel libro, contro di lei e suo marito, appunto, risale al 1911.

Quali responsabilità hanno gli intellettuali se l’Italia è rimasta analfabeta?

 L’Italia non è più analfabeta, a meno che non ci si riferisca all’informatica, alla rivoluzione digitale. Certo, è rimasta un Paese in cui si legge poco, dove ci si laurea meno che in altri, dove si preferisce stare più davanti alla televisione che leggere un libro. Non so se gli intellettuali in questo hanno una qualche responsabilità. Forse in parte ce l’anno gli insegnanti, se è vero che molti studenti delle medie, ma anche delle superiori, non sono in grado, scrivendo, di esprimere un concetto che abbia senso compiuto. Ci sono insegnanti che si dedicano con passione e intelligenza al loro lavoro, mentre altri, e temo siano tanti, lo fanno per lo stipendio. Questo ci porta al problema dei problemi: in Italia la distribuzione dei posti di lavoro statali non avviene per creare reddito, né per assicurare un buon servizio pubblico, ma per motivi clientelari o che possiamo definire di “ordine pubblico”.                                 

Biografia 

Giornalista professionista dal 1972, ha iniziato la carriera giornalistica al “Giornale di Sicilia”, per poi passare al quotidiano “L’Ora”. È stato corrispondente da Milano per “Il Mattino”. Per un breve periodo è stato capo ufficio stampa della casa editrice “Rizzoli”, editoriale libri. Dal 1985 al 2005 è stato redattore culturale del “Corriere della Sera”, per il quale ha scritto fino al 2016. Attualmente scrive editoriali e articoli di cultura per “Il Messaggero”. In letteratura ha esordito nel 1979 con il romanzo “Associazione indigenti”, pubblicato nella collana “Nuovi Coralli” di Einaudi, su approvazione di Italo Calvino. A Leonardo Sciascia, di cui è stato amico, ha dedicato la biografia “Il maestro di Regalpetra”, 1996-2019, seguita, nel 2002, da “L’alfabeto eretico. Da Abbondio a zolfo: 58 voci dall’opera di Sciascia per capire la Sicilia e il mondo d’oggi.” 

È l’autore di una biografia romanzata di Luigi Pirandello “Il gioco delle parti” 2010, dalla quale è tratto il film “Eterno Visionario” con la regia di Michele Placido, sceneggiatura dello stesso Placido, Matteo Collura e Toni Trupia. Suo anche il romanzo “La Badante” 2015. Numerosi i libri dedicati alla sua terra d’origine. Tra i titoli più importanti: “In Sicilia”, “L’isola senza ponte”, “Sicilia la fabbrica del mito”, “Sicilia Sconosciuta”. Dell’ottobre 2020 è “Baci a occhi aperti – La Sicilia nei racconti di una vita” TEA Edizioni. È autore di un racconto giornalistico del Novecento italiano e della versione teatrale del romanzo “Todo modo” di Leonardo Sciascia. È autore di una “Conversazione (im)possibile” tra Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia, rappresentata per la prima volta il 20 giugno 2021 al Teatro Antico di Taormina, al leggìo lo stesso Matteo Collura nei panni di Pirandello e Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, nei panni del nonno. Sono seguite altre rappresentazioni: ad Agrigento, sullo spiazzale antistante la casa di Pirandello; a Racalmuto (paese in cui nacque Sciascia) e a Milano, nella casa di Alessandro Manzoni, il 10 novembre 2022.

Si ringrazia Angelo Pitrone per le foto ed Enzo Sardo per avermi proposto questa intervista. 

Maurizio Piscopo

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