Atto unico “ Cristu lassa sta cruci” di Sara Favarò
Recensione di Mariza Rusignuolo
Il testo “Cristu lassa sta cruci” è il colloquio tra la madonna e Cristo crocifisso in cui viene enfatizzato il rapporto madre – figlio come sinonimo d’amore e di vita. Tale legame profondo non è ristretto alla madonna e a Gesù Cristo ma viene universalizzato.
Ogni uomo è ricco, solo se può pronunciare la parola madre, abc della parola amore. Ogni madre è tale in ogni luogo della terra e in ogni tempo e vede la crocifissione del proprio figlio quotidianamente. La crocifissione di Cristo si dilata, così, alla sofferenza di tanti uomini perseguitati, ai bambini vittime innocenti di tante guerre, agli immigrati clandestini che, su un barcone di fortuna, si avventurano alla ricerca di una vita più dignitosa, agli uomini onesti, vittime di tanti agguati mafiosi.
Come nella Lauda “ Donna del Paradiso” di Iacopone da Todi, la vicenda della passione di Cristo, è qui vissuta attraverso gli occhi e i sentimenti di una madre, con fortissima intensificazione emotiva. Mentre però la narrazione della lauda di Iacopone è intrisa di intensa drammaticità, nell’atto unico “ Cristu lassa sta cruci” è resa più piana e distesa dall’inserimento di ninne nanne e poesie che smorzano i toni acuti e rendono il testo pregnante di significati e vitalità, complice una natura antropomorfizzata come nei versi “Si misiru a ballari li stidduzzi” e in “…mentri i stiddi su’ fermi a taliari”, nonché l’inserimento di flash- back memoriali della madonna che rievocano la nascita e l’infanzia di Gesù Cristo.
“Cristu lassa sta cruci” è un atto unico scritto, oltre che per parole, per immagini. All’immagine iniziale, di canoviana bellezza, di Maria che vorrebbe che Cristo scendesse dalla croce e tornasse bambino per poterlo cullare, si susseguono le immagini dei vari volti che Cristo assume in coloro che soffrono; lo strazio della croce diventa così urlo lacerante dell’umanità che grida il suo dolore, dilaniata dalle guerre, dall’inganno dei potenti, dalla fame. Ma l’immagine finale della Madonna che vorrebbe levare ad uno ad uno i chiodi dalla croce di Cristo ed estirpare le sofferenze del mondo, illumina questo atto unico con la speranza, riposta soprattutto nelle nuove generazioni, di un mondo migliore in cui possa trionfare la pace, l’onestà, la giustizia, la solidarietà. Tali concetti sono espressi con un pathos e con un ritmo che oscilla tra ascendente e discendente e con l’uso di un lessico siciliano, di espressioni dialettali, che rendono particolarmente icastica la narrazione e a cui, l’uso dell’endecasillabo, delle anafore, dei suoni onomatopeici, delle personificazioni, rendono questo testo un prezioso scrigno delle nostre radici culturali siciliane. In poche pagine, e con sapiente maestria Sara Favarò ha saputo affrontare problematiche attuali e scottanti della nostra epoca ma soprattutto ci ha raccontato il suo amore per la Sicilia, terra bellissima ma segnata da profonde contraddizioni e lo ha fatto restituendo dignità letteraria ad una lingua, la siciliana, affinché non se ne perda il sapore, il colore, il suono .
Il dialogo tra la madonna e Cristo sembra, a ben guardare una dedica alle tante madri siciliane orfane di figli vittime della mafia, ma anche a quei figli che hanno lottato in nome di un ideale, della giustizia e della legalità come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato nonché alle donne coraggiose che hanno combattuto la mafia come Rita Atria, Emanuela Loi, Francesca Morvillo, affinchè in Sicilia possano volare alte, senza tormento – per ricalcare un’ espressione di Sara Favarò – ali vestite di speranza .