La scuola incontra Shakespeare a teatro

“La cultura non è noiosa, né irraggiungibile. La bellezza è accessibile a tutti”

E se Shakespeare fosse stato una donna? È da questa domanda che nasce, lo spettacolo di Davide Lorenzo Palla “Lady Shakespeare”. Ofelia, Giulietta, Lady Macbeth, Cleopatra diventano voci contemporanee, senza tempo: donne che parlano ai ragazzi ed alle ragazze di oggi, anche a chi forse non sarebbe mai entrato in un teatro per assistere ad uno spettacolo di Shakespeare. Sul palco le due bravissime attrici Elisabetta Raimondi Lucchetti e Francesca Tripaldi conquistano l’attenzione e la curiosità di un pubblico studentesco con monologhi intensi, in cui i personaggi classici si trasformano in esperienza viva e condivisa. Il perché? Ce lo siamo chiesti osservando il silenzio partecipe dei nostri studenti e delle nostre studentesse dell’istituto professionale alberghiero “Pietro Piazza”. Perché Lady Shakespeare, come l’amore, il desiderio ed il potere di cui narra, sa parlare ai giovani con il codice dell’empatia. Per un giorno, il teatro Libero si è trasformato nel Globe Theatre ed ha invitato un pubblico di giovanissimi a riflettere, ad emozionarsi, a confrontarsi.

Abbiamo incontrato Elisabetta Raimondi Lucchetti e Francesca Tripaldi per farci raccontare da vicino questa esperienza di Shakespeare a scuola.

Come nasce l’idea di Lady Shakespeare?

L’idea prende forma da una commissione del Teatro Libero, che ha chiesto alla compagnia Tournée da Bar di creare uno spettacolo ispirato all’universo shakespeariano. Davide Lorenzo Palla, autore e regista, ha raccolto la sfida partendo dal format che la compagnia propone da anni: portare le grandi opere di Shakespeare fuori dai teatri tradizionali, con un linguaggio diretto e narrativo, capace di coinvolgere anche chi, forse, non avrebbe mai assistito a un’opera integrale del Bardo.

Quanto è difficile portare Shakespeare nelle scuole?

In realtà meno di quanto si pensi. Shakespeare è l’autore più teatrale che ci sia: le sue opere vivono di azione, emozione, concretezza. Basta semplificare e chiarire la trama per renderla subito avvincente. I testi che portiamo in scena — frammenti recitati a leggio — hanno una forza emotiva così potente che arrivano direttamente al pubblico, anche senza troppi filtri.

La contestualizzazione è importante, certo, ma spesso non serve molto altro: le parole di Shakespeare, da sole, parlano ai ragazzi.

Coinvolgerli in modo diretto è una scelta precisa: vogliamo che capiscano che il teatro può essere qualcosa che li riguarda da vicino. A volte siamo proprio noi, attori e attrici, a tenere Shakespeare troppo lontano, trattandolo con una reverenza che rischia di renderlo freddo. In realtà, le sue opere parlano esattamente dei temi che vivono loro — l’amore, il potere, la gelosia, il desiderio — ed è questo che le rende senza tempo.

Qual è stata la risposta degli studenti e delle studentesse?

Sorprendente, nel senso più bello del termine. I ragazzi restano quasi spiazzati nel trovarsi davanti a uno spettacolo che li diverte davvero. È come se per la prima volta scoprissero che il teatro può essere qualcosa di vicino a loro, che parla una lingua comprensibile, senza quella distanza o solennità che spesso li allontana.

Molti ci dicono: “È la prima volta che mi diverto a teatro.” E per noi questo vale tantissimo, perché significa che forse torneranno.

Crediamo che il punto non sia chiedere ai ragazzi di avvicinarsi al teatro, ma piuttosto far sì che sia il teatro a fare un passo verso di loro — ad accoglierli, a parlare la loro lingua. Quando questo accade un unico cuore batte per il teatro, ed è un momento magico di grande coinvolgimento.

Qual è il messaggio che volete arrivi al pubblico delle scuole dopo aver visto Lady Shakespeare?

La speranza è che i ragazzi riescano a riconoscersi nelle storie che vedono in scena, anche se appartengono ad un altro tempo. Che capiscano che ciò che sembra lontano in realtà parla di loro, delle emozioni e dei conflitti che vivono ogni giorno.

Per noi il teatro è prima di tutto un luogo di riflessione: una sorta di “prova emotiva” di ciò che può accadere nella vita reale. Se, uscendo dallo spettacolo, qualcuno pensa “questa cosa mi riguarda”, allora abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.

Vogliamo anche sfatare un pregiudizio: la cultura non è noiosa, né irraggiungibile. La bellezza è accessibile a tutti — può passare da una risata, da un linguaggio più pop, perfino da un po’ di irriverenza. In Lady Shakespeare rompiamo la sacralità del testo proprio per mostrare che il teatro non è qualcosa da studiare a distanza, ma da vivere.

Rispetto alla riscrittura di Davide Lorenzo Palla, avete modificato qualcosa o avete seguito il testo alla lettera?

Abbiamo apportato alcune modifiche, ma con la piena approvazione di Davide. Fa parte del suo metodo lasciare libertà alle interpreti, perché ogni replica si modella sul pubblico che si ha davanti.

Ad esempio, dopo le prime rappresentazioni a Villa Filippina, ci siamo accorte che alcune parti risultavano troppo lunghe o poco efficaci, e le abbiamo accorciate o rese più chiare. In altri punti abbiamo aggiunto spiegazioni per rendere più fluido il passaggio tra le scene.

Il teatro, del resto, si costruisce insieme al pubblico: ogni reazione diventa un’indicazione preziosa per migliorare e trovare il ritmo giusto.

ùQual è il personaggio che vi ha affascinato di più tra quelli interpretati?

Senza dubbio, Lady Macbeth è un personaggio straordinario. Non la definiremmo “cattiva”: è una donna spinta da una grande volontà con una ferita profondissima, che alla fine le si rivolterà contro di lei. È un personaggio complesso, moderno, con una psicologia sorprendentemente sfaccettata — sembra scritto da qualcuno molto più vicino a noi che da un autore del Seicento.

Naturalmente ci sono molte altre figure femminili che avremmo voluto portare in scena. Titania o Elena dal “Sogno di una notte di mezza estate”, oppure Beatrice da “Molto rumore per nulla” personaggi più leggeri o comici, ma ugualmente ricchi e vivi. Il mondo di Shakespeare è talmente pieno di donne incredibili che scegliere è stato davvero difficile.

Francesca che cosa può dire ancora il teatro ai giovani che non lo frequentano, abituati ai social e alle serie in cui spesso domina la violenza?

Credo che il teatro abbia ancora moltissimo da offrire ai ragazzi. Io porto avanti due convinzioni, anche grazie al lavoro di formazione che faccio nelle scuole.

La prima è l’importanza di avvicinarsi alla bellezza. Chi nella vita ha visto o letto qualcosa di veramente bello difficilmente sarà portato a fare cose brutte: la bellezza eleva, educa, lascia un segno.

La seconda riguarda il teatro come palestra di vita. In scena si vivono esperienze emotive e fisiche attraverso i corpi degli altri, e questo ci prepara ad affrontare ciò che potremmo incontrare nella realtà. È la funzione più autentica del teatro: la catarsi, quel processo che ci permette di riconoscerci e trasformarci.

E poi c’è il contatto con la presenza viva, con i corpi reali, che nessun video o schermo potrà mai restituire.

Secondo voi, oggi il teatro riesce davvero a comunicare con i ragazzi o incontra delle difficoltà?

Crediamo che il teatro incontri ancora molte difficoltà nel dialogare con i giovani, ma gran parte del problema nasce da dentro lo stesso mondo teatrale. Spesso gli spettacoli sono pensati per “addetti ai lavori”, per un pubblico che già conosce il linguaggio della scena. È come se ci fossimo chiusi in un circuito autoreferenziale, che parla a sé stesso e dimentica di fare quel passo in avanti verso chi non frequenta abitualmente il teatro.

In questo modo si perde anche la funzione originaria del teatro: quella di provocare, di essere politico, di creare dibattito. Oggi, invece, ci si adagia facilmente in produzioni rassicuranti, fatte per essere applaudite da chi le conosce già.

Naturalmente esiste anche un problema strutturale: la cultura in Italia riceve pochissimi fondi rispetto agli altri Paesi europei. Il FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo, è sottodimensionato, e chi lavora in questo ambito ne subisce le conseguenze. Si crea così un circolo vizioso: c’è poco pubblico, i costi dei biglietti restano alti, e il teatro diventa sempre meno accessibile.

Il risultato è un sistema che, invece di aprirsi, si difende. Ma il teatro — se vuole tornare a parlare davvero ai giovani — deve uscire da sé stesso e tornare a essere un luogo di incontro, non di esclusione.

Qual è il futuro del teatro? Come lo immaginate?

Siamo ottimiste: il teatro non smetterà mai di esistere, perché raccontare storie è un bisogno umano profondo. Finché ci saranno persone che vorranno condividere emozioni dal vivo, il teatro continuerà a parlare e a resistere.

Certo, il futuro non è privo di incognite. Il rischio di una progressiva privatizzazione è reale: i fondi pubblici sono sempre più scarsi, e rendere privata un’arte che dovrebbe appartenere a tutti sarebbe un errore enorme. Il teatro è un’infrastruttura culturale essenziale, come la scuola o l’ospedale: dovrebbe essere accessibile, sostenuto, vitale.

Lady Shakespeare nasce proprio dentro questo contesto, come un modo per riavvicinare il pubblico — soprattutto i giovani — al teatro vivo. Il format, ideato da Davide Lorenzo Palla con la compagnia Tournée da Bar, nasce dall’idea di portare Shakespeare fuori dai luoghi canonici: prima nei bar, poi nelle scuole, e oggi sui palchi dei teatri.

Un leggio, una cassa, due attrici e un linguaggio diretto bastano per trasformare un classico in un’esperienza contemporanea, capace di far scoprire che la grande letteratura non è polvere, ma vita.

Marisa Di Simone

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