Cinque secondi, recensione di Maurizio Guarneri

Uno, due, tre, quattro,cinque secondi: possono essere un tempo brevissimo, oppure come nel caso della storia del film tanti, sufficienti perché si realizzi una tragedia; in un breve lasso di tempo la situazione di una famiglia si può capovolgere  e tutti vengono travolti.

Uno dei temi del film è cosa significa la presenza di una malattia, di una disabilità, all’interno di un gruppo familiare, come può essere vissuto dai due genitori l’handicap della figlia. Addirittura, a volte, come in questo caso la relazione di coppia non regge al trauma, sia perché possono sorgere sentimenti di colpa inconsci (sarà stata la genetica ?), sentimenti di rabbia (perché a noi?), sentimenti di invidia verso quelli che non hanno il problema, sentimenti di odio verso la vita, sia perché, come succede ai due genitori del film, ognuno di loro  vive la situazione in modo diverso; il padre  usa come meccanismo di difesa la negazione e si pone con la figlia come se il problema non ci fosse, la madre, invece, sviluppa una eccessiva apprensione ed un approccio di iperprotezione. In questa storia, in qualche modo, entrambe queste modalità di affrontare la realtà contribuiranno nel determinare il “ fatto”. Manca l’aver metabolizzato il trauma, l’averlo superato ed accettato, passaggi di un processo che, di fronte ad una situazione negativa, consentono di vivere, nonostante tutto, con una certa serenità. Le differenti posizioni presenti già prima che si consumi la tragedia, si accentuano dopo che questa è avvenuta: la madre reagisce accusando il marito, vuole un colpevole da punire ed un risarcimento. Adriano, ilpadre, abbandona il lavoro, la città, gli amici e  si ritira in campagna, in assoluto isolamento, vive in una casa poco curata, l’ ambiente molto trasandato, con pareti scrostate, pavimenti cigolanti, è uno spazio simbolico in sintonia con lo stato d’animo di Adriano che  mangia cibo delle scatolette, evita qualsiasi contatto con gli altri; vive una condizione depressiva, con una forte componente di autopunizione, di espiazione. Un  gancio con la vita, che rimane saldo, è l’amore per il figli, che segue a distanza, perchè il ragazzo non vuole incontrare il padre. Ed un’altra persona importante che Adriano riceve nel suo “eremo” è Giuliana, l’amica di sempre, da anni innamorata di lui, che gli rivela un segreto, un suo problema e gli mostra che sta vivendo una rinascita; pertanto lo scuote dal suo immobilismo e lo porta ad affrontare a poco a poco la realtà.

E’  una situazione di stallo, bloccata, da lutto non elaborato.  Ad un certo punto irrompono nel silenzio della villa abbandonata un gruppo di giovani, una carica di energia esplosiva, che portano vita e speranza: questi ragazzi, ostinati, risoluti, liberi ed appassionati sono un’onda d’urto che arriva nella vita solitaria di Adriano che è un uomo spento, ripiegato su sé stesso. Efficace, come metafora, l’operazione di recupero di un vigneto abbandonato che viene rivitalizzato dal gruppo di giovani che si rivelano competenti: cresce l’uva, diventa matura, poi producono il mosto ed infine il vino giovane. La terra è stata lavorata, i grappoli sono maturati, il vigneto che rivive rappresenta  il percorso di rinascita di Adriano. Un’altra metafora di nuova vita è la gravidanza di Matilde, una ragazza che fa parte del gruppo, con una famiglia assente e problematica; Adriano si  prende cura di lei e con lei realizza la ricostruzione di una paternità segnata dalla colpa e dalla perdita, paternità rinnovata come pratica di cura reciproca. Avviene un transfert dalla figlia a Matilde e attraverso questa relazione affettiva attuale può “riparare” la relazione passata e perduta. Se ne occupa con premura e tenacia,  la segue fino alla fine della gestazione e la salva nel momento del parto.

Adesso può affrontare il processo, ha raggiunto nel periodo di isolamento la consapevolezza di ciò che è accaduto e nell’aula del tribunale esprime chiaramente quello che pensa e quello che prova, descrive come si sono svolti i fatti, si assume le sue responsabilità. Il processo diventa una occasione per arrivare alla verità, all’assunzione di responsabilità, ad una catarsi e tutto ciò porta ad un riavvicinamento con il figlio e anche con gli altri familiari e a riprendere in mano la propria vita. Il suo avvocato cerca di ridurre la sua responsabilità, facendo presente che egli ha ricevuto, pochi minuti prima che avvenga la tragedia, una telefonata della moglie che lo  ha distolto ,lo  ha distratto ma Adriano la blocca e si fa totalmente carico dell’accaduto  e rivolge un pensiero affettuoso alla ex-moglie.

I cinque secondi del titolo del film sono i secondi che passano prima di attivarsi per salvare la figlia, dice al giudice che gli chiede perché non sia intervenuto subito: “mi sono bloccato”. Può essere che inconsciamente abbia aiutato la figlia a mettere fine alla sua vita? Una sorta di eutanasia, per amore; infatti nell’ultimo flash-back si vede la ragazza che comunica al padre tutta la sua infelicità e l’angoscia per il proprio futuro. Esiste una regola dei cinque secondi che consiste nel contare alla rovescia: cinque, quattro, tre, due, uno per superare l’esitazione e agire su un’idea o un obiettivo prima che il cervello si possa bloccare. Viene utilizzata per spingere sé stessi  a fare, affrontare una situazione difficile e non procrastinare. In questo caso non è stata applicata, i cinque secondi sono passati e Adriano non si è attivato. Tema complesso dal punto di vista etico ed affettivo.

Maurizio Guarneri

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