L’ex fornace Penna, una “basilica” in riva al mare
Negli anni sessanta i nostri genitori, in piena estate, ci portavano spesso nella spiaggia di Pisciotto, vicino Sampieri.
Allora era un arenile poco affollato, caratterizzato da sabbia dorata e da un mare limpido con i fondali bassi e l’acqua cristallina.
Il paesaggio marino era dominato dallo “stabilimento bruciato”, una costruzione enorme in stato di abbandono, alla quale i nostri genitori impedivano di avvicinarci. Dicevano che poteva essere pericoloso. Io non capii mai se il pericolo derivasse dagli oggetti che si trovavano dentro o dai fantasmi.
Quando molti anni dopo tornammo a frequentare il luogo per scambiare i primi baci con le nostre morose, in un luogo dal sapore romantico, nacque in me il desiderio di capire meglio l’origine dell’ex stabilimento.
Non fu difficile scoprire che il rudere era una ex fornace voluta nei primi anni del novecento dal barone Penna, un ricco latifondista che aveva sterminati possedimenti lungo tutto il litorale ragusano.
Nello stabilimento si producevano tegole e mattoni da esportazione. Il progettista, l’ingegnere Ignazio Emmolo, fu il primo in Europa ad ideare un opificio dall’aspetto monumentale, basato sull’uso della pietra locale (il calcare forte) ed impreziosito da due ordini di bifore e da un camino di tiraggio, che per sua altezza divenne ben presto un punto di riferimento geografico.
L’edificio fu collocato strategicamente sulla bellissima scogliera di Pisciotto, a pochi metri dal mare, per sfruttare la cava di argilla e la vicinanza della stazione ferroviaria di Sampieri.
Lo stabilimento di laterizi, in cui lavoravano un centinaio di persone, fu il primo esempio di architettura industriale applicata ai forni Hoffmann di fabbricazione tedesca.
La fornace fu distrutta da un incendio doloso dopo soli quattordici anni di attività. Da quel momento iniziò il lento ed inesorabile declino di questa meravigliosa struttura e dell’area che la circonda.
Più volte con amici architetti e storici dell’arte siamo ritornati a visitare e a fotografare questo meraviglioso esempio di archeologia industriale. Forse tra i più belli della nostra regione.
Spesso con i miei amici abbiamo provato a fantasticare un’ardita similitudine con l’imponente facciata del duomo di Modena. Io in particolare ho sempre visto un’assonanza architettonica con la cattedrale di Bitonto.
Confronti iperbolici ed azzardati? Mica tanto. Negli anni novanta Vittorio Sgarbi durante una delle sue tante visite al barocco ibleo, definì la fornace una “basilica laica in riva al mare”.
Una definizione deliziosa che rende giustizia ad una struttura progettata per celebrare la bellezza dei materiali e dell’ambiente.
Mi sono chiesto tante volte perché gli enti locali non avessero tentato la ristrutturazione e la valorizzazione di un monumento dalle potenzialità enormi.
Alcuni sostenevano che i vincoli a cui era sottoposta ne impedivano il suo stravolgimento.
Dal luglio del 2024 il monumento è finalmente divenuto proprietà della Regione Siciliana. Dovrebbero pertanto, a breve, nascere i progetti di messa in sicurezza e miranti a ridare a questo capolavoro un’adeguata valorizzazione.
Alla rinata attenzione nei confronti di questo raro monumento di archeologia industriale ha sicuramente contribuito la serie televisiva “Il commissario Montalbano”, che ha il grande merito di averlo fatto conoscere in tutto il mondo.
Il regista Sironi ha, infatti, utilizzato la struttura, ribattezzata “la mannara”, come location di diversi episodi, suscitando ammirazione e stupore in milioni di spettatori.
Certo, a me, il nome mannara non piace molto, perché nel dialetto locale indica il cortile di un ovile. A noi ragusani piace immaginarla ancora come una basilica laica.
Ma come dice un vecchio adagio “al caval donato non si guarda in bocca”.
D’altro canto, ora che in estate abito in una casa distante poche centinaia di metri dall’ex fornace, sono orgoglioso di poter indicare a tanti turisti la strada per raggiungere la famosissima mannara. Uno dei luoghi simbolo della mia bella e passata giovinezza.
Giuseppe Macauda