Ludovico Ariosto, precursore di modernità
Credo che la bellezza della letteratura risieda nel dialogo tra testi di autori di epoche diverse e nella capacità di parlare ai lettori al di là del tempo e delle epoche storiche. È quanto si può dire dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, opera labirintica ma anticipatrice di modernità perché vi si raccontano il disorientamento dell’uomo e il suo essere in balìa del caso e delle illusioni. Proseguendo l’opera Orlando innamorato con cui Boiardo aveva contribuito a dare slancio e vitalità al genere cavalleresco ma che dovette interrompere bruscamente per l’invasione francese di Carlo ottavo in Italia, l’Orlando furioso, Primo poema composto di 40 canti, sognante e misterioso insieme, ambiva a cantare “le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese” di un mondo lontano raccogliendo l’ammirazione di molti contemporanei. Pubblicato in tre redazioni tra il 1516 e il ’32, il poema narra le gesta dei paladini di Carlo Magno protagonisti di una tradizione letteraria di lunga data con ironia e sensibilità moderna mettendo in crisi le certezze di un mondo cavalleresco ormai distante. Considerata una delle opere più importanti della nostra letteratura e definita dalla critica come l’ultimo dei romanzi cavallereschi e il primo dei moderni, si connota altresì per un binomio indissolubile di bellezza e modernità declinate in tutte le sfaccettature. Tale connubio tra bellezza e modernità promana dalla innovazione del genere epico, dal ritmo della narrazione, dallo stile, dalle tematiche, dal susseguirsi delle immagini, dal ricorso al meraviglioso e al fantastico, dalla descrizione dei paesaggi, dall’uso di tecniche espressive quanto mai attuali. Per quanto riguarda il primo punto Ariosto prende le distanze dal poema epico ponendo forti limiti al carattere epico del Furioso che, a ben guardare, si connota del genere romanzesco. Molti critici compresero la modernità della narrazione epica di Ariosto sia per la commistione di stili e generi diversi che anticipava la sensibilità dei romantici sia perché l’autore dell’Orlando Furioso” non si limita a rappresentare la sua storia fantastica ma interviene nel corso della narrazione con i suoi commenti ironici e le sue riflessioni. Del genere romanzesco, di fatto, il Furioso ha il ritmo dinamico del racconto, la struttura aperta, il sentimento dell’armonia espresso attraverso un’ironia che è sorriso e non scherno. Espressione di questo genere è uno stile quanto mai personale ed unico espresso attraverso l’ottava sulla quale Ariosto interviene con un’operazione innovativa. Su tale metro narrativo già usato dai cantari ma anche da Boccaccio, da Giuliano dei Medici, Il Nostro compie una mediazione di assoluto prestigio dando vita alla cosiddetta ‘Ottava d’oro’ che si connota per l’inserimento di ritmi narrativi serrati e compatti che mantengono la narrazione entro un grado di regolarità metrica. Ariosto conferisce alla sua ottava una nuova duttilità emancipandola dallo schematismo della tradizione, con il ricorso a precisi procedimenti stilistici e retorici come l’uso della simmetria, dell’antitesi, del parallelismo. Il ritmo melodioso è raggiunto, inoltre, con l’uso di lessemi particolarmente sonori scelti con cura, erede in questo di Dante che opera una scelta oculata in tutta la Commedia tra immagine/suono/parola ma anche con l’uso ridotto degli enjambement che spezzano di rado l’unità metrico- sintattica conferendo elasticità e leggerezza alla narrazione. Già Italo Calvino vide nella leggerezza un elemento distintivo di Ludovico Ariosto che egli definisce come suo poeta. Non a caso Calvino dedica nel 1984, alla leggerezza la prima delle sue Lezioni americane. Nel poema ariostesco in particolare, a detta di Calvino, Astolfo è il personaggio che meglio incarna quell’ideale di leggerezza che è elemento fondamentale della buona riuscita di un’opera letteraria. Astolfo, infatti è il personaggio che sa meglio destreggiarsi con la magia ed è descritto con immagini riconducono alla leggerezza. Egli, infatti, in sella ad un ippogrifo, mitologica creatura nata dall’incrocio di un cavallo e di un grifone, volerà prima sulla cima dell’eden, poi sulla luna per recuperare il senno del paladino Orlando ormai pazzo per amore di Angelica.
Il passo, infatti, uno dei più celebri del poema, riveste un ruolo centrale nella trama, dal momento che recuperare il senno di Orlando è decisivo per le sorti della guerra contro i Mori e, infatti, grazie al contributo del campione dei cristiani il nemico sarà definitivamente sconfitto.
La descrizione del paesaggio lunare diventa l’occasione per l’autore di ironizzare sulla vanità delle occupazioni umane, poiché gli uomini sprecano il loro tempo e la vita inseguendo cose che non raggiungono o che svaniscono presto col passare del tempo: tra queste la fama del mondo, i sospiri degli amanti, ma anche la grandezza degli imperi del passato destinati a cadere, Di particolare interesse è anche la descrizione della Terra vista dalla Luna, ovvero di un minuscolo ‘globo’ che sembra assai più piccolo di quanto non appaia a noi e quasi insignificante, dunque la prospettiva di Ariosto è rovesciata e demistificante (l’autore relativizza la scala dei valori umani, che sembrano importanti a noi ma che in realtà, visti da un’altra prospettiva, acquistano una consistenza decisamente inferiore). Dopo Dante, che quando raggiunge il primo cielo del Paradiso penetra nella materia lunare e schiude all’uomo l’ingresso al cielo della luna, il poeta della corte estense spezza ulteriormente la distanza che separava la terra e il suo satellite, rivelandosi un precursore ed un antesignano della conquista della luna già trecento anni prima che Jules Verne con i suoi romanzi fantascientifici Dalla terra alla luna e Viaggio Intorno alla luna immaginasse la conquista della luna e quattrocento anni prima della reale spedizione spaziale che, nel 1969, segnerà l’allunaggio degli astronauti Amstrong e Aldrin. È Il Canto XXXIV del Furioso che ha come protagonista lo stravagante paladino Astolfo, il cui intervento, che ha tutti i tratti del fantastico e dell’avventuroso, nell’economia della storia, è provvidenziale per la vittoria dei cristiani sui Saraceni. Verso il tramonto Astolfo e S. Giovanni Evangelista si mettono in viaggio per la Luna: «Tutta la sfera varcano del fuoco, /et indi vanno al regno della luna» questo l’incipit del canto XXXIV dell’Orlando Furioso il cui principale modello di riferimento è senza dubbio il viaggio di Dante attraverso le sette sfere, dalle quali la Terra, a Dante personaggio, appare nel C.XXII del Paradiso (vv. 133.135) tanto piccola alla vista da sembrare vile:
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
Anche ad Astolfo come a Dante, il globo terrestre appare piccolo e offuscato. Ma la meraviglia è doppia perché la Luna non gli si rivela così piccola come a chi la osserva dalla terra. Ariosto, attraverso il personaggio di Astolfo, si rende conto delle mutevoli dimensioni che i due pianeti assumono, cambiando il punto di osservazione, e opera una sorta di rovesciamento della realtà conosciuta. L’ascesa di Astolfo sulla luna ha uno scopo ben preciso. In Ariosto le allegorie dei vizi e delle illusioni umane, unite alla satira contro la realtà delle corti, inducono ad una riflessione sulla caducità della vita umana e sulla insensatezza delle aspirazioni individuali. Dalle dimensioni della luna il poeta passa poi alla descrizione del paesaggio lunare e ne sottolinea la identità/alterità che lo lega alla terra; anche l’ambiente lunare, infatti, è simile a quello terrestre: ci sono fiumi, laghi, campagne, pianure, valli, montagne e selve a significare che fra i due corpi celesti si istaura una corrispondenza, una sorta di attrazione magnetica, del resto confermata anche dall’astronomia:
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono lá su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
[…]
e vi sono ampie e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
Ariosto, Orlando Furioso, 72, vv. 1-3 e vv.7-8
Inoltre Ai due personaggi che avevano attraversato la sfera del fuoco, la superficie lunare si mostra loro liscia e lucida, tanto da esser paragonata a un acciaio senza macchie:
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
Ariosto, Orlando Furioso, XXXIV, 70
Ariosto non è interessato troppo all’aspetto naturalistico-scientifico del pianeta, infatti la luna è raffigurata, secondo topici modelli letterari di riferimento, splendente e luminosa, e neppure è incuriosito dalla topografia del mondo lunare: la descrizione è, infatti, tratteggiata a rapide pennellate. Per di più la luna «non ha macchia alcuna», espressione questa nella quale è facile cogliere un’ironica e chiara presa di distanza dal poema dantesco, in cui il problema delle macchie lunari è una delle tante questioni dottrinali ivi presente. Il personaggio di Astolfo riveste nel poema un duplice interesse in quanto non solo anticipatore dell’allunaggio che avverrà tanti secoli dopo ma perché ha un ruolo di grande importanza in quanto a lui viene affidato il compito di recuperare sulla luna il senno del paladino Orlando reso pazzo per amore di Angelica che ha sposato Medoro. L’amore, dunque, da valore cortese si trasforma in fonte di insania per l’uomo e la pazzia d’Orlando verrà conclamata come novità nel proemio:
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
Anche con il tema della follia, già trattato da Erasmo di Rotterdam nel suo Elogio della follia Ariosto è un antesignano nella letteratura italiana e straniera. Non si può non ricordare a tal proposito la sua influenza sul Don Chisciotte di Cervantes (1605-1615) in cui la follia sembra investire tutti i personaggi o l’Amleto di William Shakespeare. Nel Novecento in maniera del tutto simile i personaggi delle opere di L. Pirandello vivono la scissione contraddittoria tra l’essere ed il dover essere. La pazzia diventa un alibi, un modo per fuggire e difendersi da un contesto sociale avulso e nel quale non ci si riconosce. Nel campo delle arti visive ritroviamo la tematica nelle opere di Giorgio De Chirico, nei suoi manichini spaesati e stretti in un mondo colorato ma asfittico o nelle vivide pennellate di Vincent Van Gogh o ancora nei quadri allucinati di Jackson Pollock e in quelli liquidi di Salvador Dalì
L’Orlando furioso rivela la sua modernità anche nella tematica del bene che sfugge in cui si riflette ancora la visione che dell’uomo ha l’autore, sintomatica di una crisi che ha intaccato sia le certezze medioevali che quelle del primo Rinascimento. Così fin dal primo canto del poema incontriamo la selva di dantesca memoria in cui i valorosi paladini si perdono dietro la ricerca di quel bene che è diventato per loro l’idolo principale della vita. Chi cerca l’armatura, chi il cavallo, chi la donna di cui è innamorato, tutti cercano qualcosa che possa dissetare la loro brama di felicità. La stessa queste inconcludente troviamo nel Palazzo incantato dove il mago Atlante ha rinchiuso per la seconda volta Ruggero per proteggerlo dal mondo e dalla morte predetta:
Tutti cercando il van, tutti gli dánno
colpa di furto alcun che lor fatt’abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno
Tutti ripetono le stesse mosse e le azioni rimangono sempre sospese. Tutto l’Orlando Furioso è costruito come un labirinto del caso, dove talvolta incontri e scontri si susseguono involontariamente. Tutto diventa imprevedibile e spesso l’itinerario dell’uomo si riduce ad un vagare senza meta per tornare dove era partito. Ma, a ben guardare questa ricerca che si vanifica è lo specchio della solitudine dell’uomo del Rinascimento. l’Orlando Furioso è costellato di uomini soli che hanno perso di vista l’ideale e che sono sballottati dalla sorte e dalle passioni. Il giudizio sull’uomo di Ariosto è chiaro. L’autore non intravede soluzioni o speranza di cambiamento. È l’inizio della modernità in cui dubbio, insicurezza nella conoscenza, incertezza sui rapporti umani, diventano specchio di un cambiamento radicale, storico, sociale, culturale.
E che dire del meraviglioso dell’Ariosto? I duelli di Rinaldo, Mandricardo, Bradamante, Marfisa e infiniti altri, i viaggi, le magie, gli incantesimi, le ricerche insensate, le folli fughe hanno lasciato impronte nel nostro immaginario collettivo – già Giacomo Leopardi aveva annoverato Ariosto tra i poeti ‘d’immaginazione’ cogliendone l’efficacia della poesia. Le invenzioni di Ariosto hanno fecondato il genere fantastico (oggi si preferisce dire fantasy). Magia e ironia divengono i due diversi strumenti utilizzati dall’Ariosto per descrivere i paesaggi fantastici, i personaggi irreali, le situazioni irrealizzabili, tutto quanto di illusorio sia presente nella poesia dell’Orlando Furioso.
Indiscussa protagonista della fantasia ariostesca è la magia ed è proprio la felice commistione tra concretezza e fiaba a rendere così affascinante quest’opera. Tra le magie più note e più riuscite sul piano narrativo c’è indubbiamente il castello del mago Atlante, ragnatela di ‘sogni e desideri e invidie’, come lo definisce Calvino, in cui i paladini rimangono imbrigliati nelle proiezioni oniriche dei loro desideri. E che dire dell’ippogrifo? la leggendaria creatura che entra in scena proprio con il mago Atlante e su cui Ruggero volerà nel regno incantato di Alcina e che godrà di grandissima fortuna, dato che volerà attraverso i secoli arrivando fino alla saga di Harry Potter. Tra gli oggetti magici, quello che più movimenta l’azione è l’anello di Angelica, che ha la doppia funzione di annullare un incantesimo e di rendere invisibili. Il momento in cui la principessa, tra il canto X e il canto XI, si sottrae alle brame impacciate di Ruggiero tramite l’anello èuno dei più divertenti del poema.
Un altro tema molto attuale nell’Orlando Furioso è quello delle donne guerriere (Marfisa -Bradamante). Come prosecutore del Boiardo Ariosto inserisce le eroine che maggiormente avevano caratterizzato l’Orlando innamorato: Marfisa e Bradamante, due principesse guerriere. La presentazione dell’Ariosto rispetta i canoni del precedente autore, Marfisa è valorosa, pari in battaglia ai grandi paladini, Orlando e Rinaldo, indossa sempre un’armatura ed ha come obiettivo, tipicamente virile, quello di raggiungere la gloria in battaglia. Solo nel canto XXXVI il destino di Marfisa e quello di Bradamante si incrociano. Quest’ultima, infatti, ha appreso che l’amato Ruggiero sta per sposare Marfisa ma la notizia si rivelerà falsa in quanto Ruggiero e Marfisa si scopriranno fratelli. I due personaggi che hanno antecedenti in Camilla dell’Eneide e ancor prima nelle Amazzoni, sembrano anticipare l’ingresso delle donne oggi nelle forze armate, l’apertura delle Forze armate italiane alle donne. Chi ascoltava o leggeva di queste figure femminili era ben lontano dall’immaginare che un giorno le donne avrebbero preso le armi allo stesso modo e alla pari degli uomini.
Da questa sia pur breve analisi delle tematiche ariostesche nell’Orlando Furioso se ne enuclea l’attualità e la modernità nonché l’influenza del poeta sulle generazioni successive, sino ad oggi. Del resto, nel canto XXX, il poeta stesso, riprendendo Orazio, scriverà il celebre verso «Forse altri
canterà con miglior plettro», sfidando scherzosamente la posterità a raccoglierne l’eredità con l’ironia che lo contraddistingue. A detta di Ceserani proprio dalla complicata origine strutturale e dalle svariate tematiche del poema deriva il moderno interesse per esso e si attiva quel dialogo tra opere di epoche diverse di cui si è parlato inizialmente a convalida di uno di questi aspetti della bellezza di cui è intriso il poema. Non a caso l’Orlando Furioso e il suo immaginifico mondo hanno esercitato un grande fascino su vari autori che hanno vivificato e reinterpretato nelle loro opere letterarie singoli episodi e singoli personaggi. Non si può a tal proposito non menzionare la passione di Calvino per L’Ariosto, evidente nella sua rilettura dell’Orlando Furioso del 1970 ma palese già in molte sue opere dal Visconte dimezzato, al Cavaliere inesistente al Castello dei destini incrociati. Dame, castelli e cavalieri tratti dal mondo ariostesco sono personaggi familiari nelle opere di Calvino. In particolare, ne Il castello dei destini incrociati le storie principali Storia di Orlando pazzo per amore e Storia di Astolfo sullaluna sono palesemente ispirate all’Orlando Furioso. Orlando, Astolfo, la luna sono solo alcuni degli elementi tematici che legano l’Orlando Furioso e Il castello dei destini incrociati. L’immagine stessa del castello ci riconduce, infatti al poema ariostesco e a quel castello di Atlante che è un vero e proprio labirinto e che viene ripreso come spazio narrativo-tematico ne Il castello dei destini incrociati. Ciò che affascina Calvino non sono però solo le tematiche del poema ma i diversi livelli di narrazione e la sua struttura ricca di combinazioni possibili e Calvino nel testo fa un uso frequente di questo gioco combinatorio. Pur con questi legami intertestuali, tuttavia, evidenti sono i significati che emergono tra le tematiche solo in apparenza simili ma, a ben guardare, è evidente la distanza che le separa per il contesto storico-culturale che fa da cornice. la follia non è più negativa per Calvino come lo è invece per Ariosto ma è percepita come una nuova strada capace di arricchire l’individuo nella sua relazione con il mondo. L’uomo del Novecento ha dovuto fare i conti con la perdita delle certezze e dei valori universali, dando un nuovo significato alla sua esistenza. La luna, dunque, non rappresenta, come in Ariosto, il mondo alla rovescia, capace di fornire altri sensi. Il mondo pieno di senso, l’opposto della terra insensata, si svuota di significati riducendosi ad un ‘orizzonte vuoto’, ‘un deserto’, dunque non più quel posto ariostesco in cui va a finire tutto ciò che è stato perduto sulla terra e in cui nulla viene smarrito. È, a detta di Calvino, una ‘sfera arida’. Le dinamiche intertestuali tra l’opera di Calvino e L’Orlando furioso sono dunque il frutto di una precisa volontà dell’autore che da una parte vuole riprendere il fantastico mondo creato dall’Ariosto mostrandone l’efficacia e la forza delle immagini, dall’altra vuole mettere in evidenza come tra la concezione dell’esistenza novecentesca e quella dei secoli precedenti ci sia una frattura profonda. Calvino riprende dunque, alcune immagini del poema ariostesco particolarmente efficaci e le trasforma. Orlando non è più il guerriero che perde la ragione e poi la ritrova ritornando tra le fila dell’esercito cristiano, ma è ormai l’uomo provato dalla vita e dall’amore che capisce che non c’è un unico punto di vista sulle cose e sul mondo, la luna, allo stesso modo, non è più quell’altrove fantastico che fa da contraltare all’insensatezza della terra ma è infine anch’essa spoglia, così come priva di punti di riferimento è l’esistenza dell’uomo contemporaneo. Tra gli autori del Novecento che fanno tesoro della lezione di Ariosto non si può non menzionare Gadda. Nella sua lezione americana sulla molteplicità, Italo Calvino descrive Gadda come il fautore di una rappresentazione dell’inestricabile complessità del mondo “come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo”. Che Gadda fosse un appassionato lettore di Ariosto è evidente tanto che egli parla di un amore idolatra per l’autore dell’Orlando Furioso. Alle figurazioni dell’Orlando Furioso egli ricorre, incastonandole quasi gemme preziose in un passaggio narrativo o in una riflessione critica. Paragoni tratti dal poema s’incuneano perfino nel Giornale di guerra e di prigionia. Il Furioso, inoltre, ha esercitato grande influenza su Camilleri. La natura del poema, infatti, si avvicina alla struttura dei romanzi camilleriani, incentrati come il Furioso sull’azione e che si dipanano per immagini, ma l’ammirazione di Camilleri va anche alla lingua usata dall’Ariosto che si nutre di suoni e di ritmo cadenzato con una scelta accurata dell’uso della parola, suono e ritmo che sono l’humus di cui si sostanzia il melange linguistico e narrativo del nostro ‘cantastorie’ come egli stesso amava definirsi. I riferimenti del poema ariostesco in Camilleri sono palesi nel romanzo Il sorriso di Angelica in cui Camilleri utilizza molte delle ottave ariostesche. In questo episodio, Camilleri trasforma il commissario Montalbano nel protagonista dell’Orlando furioso dell’Ariosto, attraverso impressioni, sogni e intuizioni in cui il cavaliere sembra impossessarsi dell’inconscio del commissario, suggerendogli, attraverso visioni oniriche, le mosse da fare e dovecercare la verità.In uno spazio a cavallo fra la realtà e ricordi adolescenziali, si staglia fiera e irraggiungibile la figura di Angelica Colusich, capace di stregare Montalbano proprio come l’Angelica del poema fece con l’Orlando.
Anche Borges, letterato argentino, evidenzia la sua ammirazione per Ariosto. La sua poetica, infatti, sembra aver metabolizzato l’Orlando Furioso nel suo procedere nella narrazione di molti suoi racconti con un impianto illusionistico, sfuggevole, labirintico che schematizza efficacemente l’impianto narrativo del Furioso. Non è possibile non pensare, ancora, alla tradizionale Opera dei pupi siciliani, dichiarato dall’UNESCO, patrimonio immateriale dell’umanità, che, pur riprendendo i classici personaggi del ciclo carolingio di antica tradizione, si rifà spesso agli intrecci e alle vicende dell’epopea ariostesca, rivisitandoli e adattandoli alla tradizione del folklore locale. Il mondo di Ariosto, in conclusione, nonostante sia nato e si sia sviluppato in un preciso contesto storico–letterario, acquista una dimensione sempre attuale proprio in ragione della sua varietà, della sua versatilità e della sua capacità di scandagliare la stessa natura umana, con i suoi vizi e le sue virtù.
Dunque, il capolavoro Ariostesco è sintesi di una bellezza della forma in cui si realizza non solo l’ideale estetico del Rinascimento, ma anche quello morale ed etico diventando espressione di una società.
Ariosto, dunque, è un intellettuale di corte ‘eversivo’ che si proietta verso il futuro con uno sguardo positivo. Dinanzi all’avanzare delle truppe francesi non va incontro allo sgomento come Boiardo interrompendo bruscamente il suo poema, ma lo riprende esorcizzando il triste momento storico dando al genere epico una connotazione del genere romanzo e intridendo l’opera dello spirito dell’avventura, del fiabesco e proiettandola in un mondo meraviglioso, onirico. È il sogno di un mondo migliore dove l’impossibile diventa possibile con il gioco della fantasia, un mondo popolato da giovani dove l’amore, la gioia, l’ironia, la fiducia in un futuro positivo domina la scena pur nello sfondo di un evento bellico che, proprio perché non vissuto in prima persona, può essere guardato con distacco. Il tutto è cantato in un’atmosfera magica, sospesa, onirica dove l’oggetto del desiderio, qualunque sia, è irraggiungibile. L’uomo del Rinascimento, come l’uomo moderno, in preda a dubbi e incertezze, cerca di dare un significato alla sua esistenza proponendosi degli obiettivi che si infrangono al cospetto della realtà. Ciò che attrae nel poema però, è il bisogno di travalicare le incertezze ammantandole di una fiaba, la fiaba di un tempo altro dove tutto è realizzabile e l’Orlando furioso, costellato di luci, colori, stendardi, rituali cavallereschi diventa simbolo di un raggiunto equilibrio dell’intellettuale Ariosto che, proiettato in un mondo moderno può guardare a queste storie con spirito divertito e non nostalgico. Ariosto è tout court un intellettuale che si pone di fronte alla materia della sua arte con ironia, fantasia, accuratezza formale, tutte doti non fini a sé stesse ma che fanno parte di una sua personale concezione del mondo atta a meglio valutare vizi e virtù, una lezione molto valida ed attuale oggi, nell’epoca dei cervelli elettronici e dei voli spaziali. A ben ragione si può senz’altro affermare con Giulio Ferroni che Ariosto è uno di quei pochi autori che ci trasmettono universi di totale dedizione alla bellezza con un’intensità che, guardata e ascoltata nel nostro tempo, ci spinge ancora a credere nella resistenza della bellezza e nella possibilità di catturarla nel mondo.
Mariza Rusignuolo