LA MEMORIA DELL’OMBRA DI STEFANIA DI LINO
Nota critica di Gabriella Maggio
“La memoria dell’ombra” (EdiLet 2024, pp.91, € 13) di Stefania Di Lino è una raccolta poetica di grande rilievo emozionale, incisiva per ricchezza di risonanze ed inquietudini, per la purezza degli slanci lirici. È poesia compiuta che attinge all’assoluto. È espressione di libertà indomita, di acume dello sguardo, scalpello incessante che scava, che forza gli argini della parola e rompe ogni prevaricazione di senso. Stefania Di Lino avverte la necessità che la poesia sia “scandalo”, sasso nella palude per spezzare la ragnatela delle apparenze in cui noi, prede vive ,vibriamo. Il titolo della raccolta rimanda esplicitamente alla memoria, alla rimemorazione personale di cui Stefania è custode, ed alla poesia stessa, nella radice linguistica che lega la mitologica Mnemosine, all’antico verbo greco μιμνῄσκομαι, io mi ricordo. E rimanda anche all’ombra, parola polisemica nell’uso della poeta in quanto è il “negativo” di ciascun individuo, ma anche allusione all’ingannevole conoscenza, e soprattutto metafora della finitudine, della fragilità. Stefania Di Lino non insegue motivi di “ illuminazioni” , né l’elegante oscillare delle forme, ma piuttosto le parole che emergono, che sgorgano come sangue oltre la siepe, i miagolii acuti il pelo strappato/ dei gatti randagi in amore. Il poemetto è composto da due sezioni, L’equilibrio delle pietre e Figlio mio chiamato da dove. Nella prima sezione, introdotta dall’esergo di Violeta Parra, la poeta rende universale il tema della fragilità umana, partendo dall’esperienza della recente pandemia di Covid -19 che ha segnato la fine di ciò che siamo stati… affini ci percepivamo/il sole le stelle la luna…Ma Stefania non si arrende e ribelle all’obbedienza afferma ma io provengo da una tana verde/ ho cuore di pietra antica…e quando il buio si fa rapace…i miei occhi di bestia brillano / dello stesso luccichio della luna, Eppure la memoria si mostra fecondamente ambivalente nella domanda cosa mai riuscirò a salvare delle vite precedenti?
In nome del libero dis-correre della poesia, che non si muove mai in linea retta per la sua natura muy misteriosa, la poeta afferma un umanesimo naturale : saranno gli alberi…a ricordarci il linguaggio del vento…il canto libero delle rocce…il pensiero ovattato della neve….nel disegno perfetto di ogni cristallo. Nella seconda sezione Figlio mio chiamato da dove la poeta, scegliendo per l’esergo le parole di J.R.Wilcock al figlio, “ tutto accade / a caso e che niente dura” sottolinea l’effimero della nostra esistenza, eppure cerca “un sogno di libertà”. La scrittura poetica acquista una doppia valenza interiore e sociale, smaschera lo sfilacciamento sottile dei processi relazionali e sociali. Il figlio del titolo si carica dell’ambiguità che unisce un figlio reale a quello ideale generato dalla poesia. L’ alma poësis, della tradizione, la poesia – madre, che dà vita, che genera un senso anche raccogliendo ciò che resta dello sfacelo e, nonostante tutto, intravede il destino della poesia solo nell’amore, nel cuore: questo cuore sobbalza rotola e traballa…senza sosta nella sua ricerca dell’autentico. Si cerca ancora/ lungo esercizio / è la parola, dice Stefania nella chiusa del poemetto. E non si può dire meglio. Interessante in La memoria del tempo è l’organizzazione della pagina, il suo ritmo fatto di vuoti e pieni, versi prosastici e spazi bianchi, mescolati agli “ a parte” tra parentesi quadre. Rappresentazione significativa, credo, del messaggio poetico : C’è una poesia che ha luogo/ tra il dire e il non dire/e talvolta si mostra tacendo. Stefania Di Lino è poeta e artista compiuta, come rivela l’immagine di copertina del volume, luogo d’incontro fecondo con il lettore.